Cannes: storie di dolore e speranza negli ultimi giorni del Festival del cinema
Si avvia alla conclusione la 65.ma edizione del Festival del cinema di Cannes. Quanto
mai varie le storie raccontate nella rassegna, come ci riferisce dalla città francese,
Luciano Barisone:
Amore, morte,
vecchiaia, destino. Negli ultimi due giorni la competizione ufficiale del 65.mo Festival
di Cannes si è adeguata al clima, un po’ depressivo, che si respirava nella cittadina
balneare, fra la tempesta di vento e pioggia che sconvolgeva la consueta routine mondana
e le drammatiche notizie del terremoto che arrivavano dall’Italia.
Tra i film,
che con uguale intensità si consacrano al tramonto della vita, “Amour” di Michael
Haneke racconta gli ultimi giorni di una coppia di intellettuali parigini, la cui
esistenza felice, fatta di piccoli gesti quotidiani, di concerti di musica classica,
di belle letture, di dolci ricordi del tempo passato, viene bruscamente interrotta
dall’insorgere della malattia. Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, magnifici
interpreti di tanto cinema francese, danno corpo e anima ai due personaggi, lasciati
soli al proprio destino. La pazienza, la sofferenza, il rispetto della dignità si
leggono in ogni sequenza e Haneke, pur non risparmiando allo spettatore né la decadenza
dei corpi né l’incomprensione talvolta cinica e pietosa degli altri, né la quieta
disperazione che assale i protagonisti, ci consegna una sequenza memorabile in cui
un piccione vola nell’appartamento, l’uomo, ormai solo, lo cattura per sentirne il
calore e la vita fa irruzione nel lutto.
Vira, invece, verso la malinconia
di una commedia sulla senilità “Like someone in love” di Abbas Kiarostami.
Il cineasta iraniano, che ha scelto il Giappone per raccontare ancora una volta il
difficile incedere degli uomini, fra verità e menzogna, segue l’avventura di un vecchio
professore e di una giovane escort che ha passato la notte con lui. I due protagonisti,
l’uno con tutta l’esperienza della vita vissuta, l’altra con l’incoscienza della gioventù,
s’incontrano nell’ipocrisia di chi sa di infrangere dei valori etici ma vuole mantenere
la sua rispettabilità. Come sappiamo per antica saggezza, le bugie hanno tuttavia
le gambe corte e finiscono sempre per essere smascherate. Kiarostami, che da qualche
tempo tenta la carta della leggerezza, ha un po’ perso quella poesia che caratterizzava
i suoi paesaggi iraniani. L’abilità registica è sempre presente, ma è come se il soffio
che animava i suoi primi film, si fosse un po’ spento.
Resta invece ancora
estremamente lucido, nonostante gli anni, Alain Resnais che con “Vous n’avez encore
rien vu” ci consegna una riflessione fra le più originali e anticonformiste, su
cinema e teatro, arte e vita, amore e morte. Unendo in un’unica forma filmica due
testi teatrali di Jean Anouilh, il cineasta francese crea un dispositivo speculare
vertiginoso. Un regista teatrale convoca alle sue disposizioni testamentarie tutti
i consumati attori delle sue opere e chiede loro di misurarsi ancora una volta con
i personaggi da loro interpretati, giudicando la rappresentazione di una compagnia
di giovani attori.
Seduti di fronte alla scena, alle prese con i sentimenti
che li hanno animati, i corpi usati dei vecchi attori rimano con quelli dei loro più
giovani colleghi e arte e vita celebrano un incontro di grande intensità emotiva.
Se
le storie di Haneke, Kiraostami e Resnais propendono per la malinconia, molto più
energici e improntati alla speranza appaiono due film delle sezioni collaterali del
Festival, come “Children of Sarajevo” di Aida Begic e “Rengaine” di
Rachid Djiadani. Nel primo la regista bosniaca traccia il ritratto di una generazione
perduta, quella degli orfani della guerra civile, in un paese che è ricaduto in ostaggio
degli antichi vizi, il disprezzo dell'altro e la corruzione. Seguendo con una prossimità
al tempo stesso fisica e emotiva la sua protagonista, la Begic non si perde in inutili
ghirigori di sceneggiatura e va dritta all'essenziale, la riconquista della dignità
da parte dei vinti. Djiadani, già attore di Peter Brook, scrittore e documentarista
esemplare, mette invece in scena le complicazioni di un melting pot parigino
fra algerini attaccati alla tradizione e giovani africani, raccontando la storia di
un amore contrastato, che infine trionferà. Girato fra mille difficoltà in tutta indipendenza
nell’arco di quattro anni, il film ha un’energia trascinante, degli ottimi attori
e un ottimismo contagioso. Il pubblico se ne è nutrito acclamandolo come la grande
sorpresa del festival. In attesa dei film che concluderanno la rassegna anche noi
ci uniamo a un tale sentimento di gratitudine.