Bambino Gesù: impiantato il più piccolo cuore artificiale del mondo in un bambino
di 16 mesi
Ha fatto il giro di tutti i continenti la notizia che all'Ospedale pediatrico Bambino
Gesù di Roma è stato impiantato il più piccolo cuore artificiale del mondo in un bambino
di appena 16 mesi: si tratta di un dispositivo di appena 11 grammi. Sull'intervento,
unico nel suo genere, ci parla Antonio Amodeo, responsabile dell’Unità di progetto
Assistenza Meccanica del Bambino Gesù. L’intervista è di Alessandra D’Angelo:
R. - E’ la prima
volta che viene impiantato su un essere umano il più piccolo cuore artificiale esistente
al mondo. Si tratta di un prototipo - che ovviamente non è ancora in commercio, proprio
perché prototipo - sperimentato soltanto su banco e su sperimentazione animale. E’
stato impianto in un bambino che, purtroppo, non aveva altre alternative, perché questo
bambino aveva un cuore artificiale che aveva avuto un problema di tipo infettivo e
non avevamo quindi alternativa: o il bambino andava verso un esito infausto, come
purtroppo avviene a questi bambini, o - cosa che abbiamo fatto - abbiamo chiesto di
ottenere in maniera del tutto eccezionale, con l’autorizzazione della Fda (Food and
Drug Administration) degli Stati Uniti, il cuore artificiale. Lo abbiamo impiantato
e questo ci ha permesso di traghettare verso il trapianto cardiaco, che è avvenuto
a distanza di due mesi.
D. - Quali sono i vantaggi della donazione da vivente?
R.
- Il vantaggio ovviamente è che si abbatte la lista di attesa. Questa è la cosa più
importante, perché in questo modo una lista di attesa, che normalmente ha una potenzialità
più lunga, con i donatori viventi si accelerano molto i tempi dei bambini che sono
in attesa.
D. - Quali sono le prospettive future che possiamo prevedere nel
campo dei trapianti?
R. - Io penso che le prospettive future dovranno orientarsi
principalmente sulla ricerca delle staminali, sulla terapia rigenerativa miocardica,
parlo per quanto riguarda proprio i trapianti di cuore. Il futuro si sta quindi indirizzando
in quella direzione e nella direzione dei device, ossia dei cuori artificiali. Questo
permetterebbe di dare una grossa mano alla problematica enorme che c’è, perché le
donazioni sono sempre le stesse negli ultimi 10 anni, mentre la popolazione di pazienti
che hanno bisogno della terapia sostitutiva sono sempre di più. Quindi la ricerca
si andrà a organizzare verso questi due grandi obiettivi.
D. - A questo proposito
vuole lanciare un appello a favore e a sostegno della donazione d’organi?
R.
- Questa è la normalità ed è da anni che noi lo diciamo: è fondamentale - ovviamente
- la filosofia della donazione d’organi, perché altrimenti - e questo particolarmente
nella popolazione pediatrica - la lista di attesa per un trapianto di cuore di un
bambino al di sotto di un anno è di diversi mesi. Potete solo immaginare cosa accade
in questi “diversi mesi”.
La notizia dell’impianto del cuore artificiale è
stata data nella Settimana nazionale dedicata alle donazioni e ai trapianti d’organo.
Ascoltiamo in proposito Giuseppe Profiti, presidente dell’Ospedale Bambino
Gesù, al microfono di Alessandra D’Angelo:
R. - Nella settimana
dei trapianti ci sembrava logico presentare un po’ quello che è l’ospedale nel suo
insieme, il modello che rappresenta e poi fare questo ulteriore passo avanti con l’adozione
e la sperimentazione di questo cuore artificiale ancora più piccolo di quello che
utilizzammo circa due anni fa per la prima volta al mondo. L’ospedale ormai è un modello
di riferimento unico in Europa perché assicura tutta la gamma di trapianti, sia di
cellule che di tessuti, e all’interno di un ospedale pediatrico, quindi consentendo
al bambino, all’adolescente, di fare l’intero percorso molto delicato del pre-trapianto,
quindi l’assistenza pre-trapianto, ma soprattutto del post-trapianto, all’interno
di una realtà che ha tutte le specialità che supportano pazienti che hanno sempre
patologie molto complesse legate a quella del trapianto. Si tratta di una scoperta
che ci consente di sopperire a un problema che andiamo generando noi stessi nel senso
che più bravi diventiamo più siamo in grado di far sopravvivere bambini che per dimensioni
e per età non hanno facilmente un donatore. Quindi – ci chiediamo - è una necessità
che la tecnologia si abbini alla capacità clinica per offrire in via permanente oppure
soltanto per il tempo necessario a raggiungere l’età e le dimensioni del trapianto?
Questo non lo sappiamo, ce lo diranno il futuro e i nostri sforzi, però per consentirci
di arrivare a un traguardo dove poi o il traguardo definitivo o l’innovazione tecnologica
ci consentirà di avere una vita sempre più simile a quella delle persone normali.
Il tutto - e questo mi piace dirlo - all’interno di un ospedale in cui questi processi
tecnologici, e della medicina più in generale, non sono fini a se stessi ma sono strumenti
all’interno di un quadro etico ben chiaro e ben preciso, strumenti dei quali ci piace
pensare di essere “padroni” e quindi sottometterli alla nostra dimensione etica.