Yemen. Grave strage alla parata militare, circa cento i morti
Un attentatore suicida con indosso una uniforme militare si è fatto esplodere questa
mattina nella capitale yemenita Sanaa, tra i soldati di un battaglione del governo
uccidendo un centinaio di militari. L’attacco terroristico si è verificato durante
le prove di una parata convocata per il 22.mo anniversario dell'unificazione del Paese.
L’attentato sarebbe stato rivendicato da al Qaeda, ma molti elementi restano poco
chiari. Come ci conferma Farian Sabahi, decente di Storia dei Paesi islamici all’Università
di Torino e autrice per Bruno Mondadori di una Storia dello Yemen. L’intervista è
di Stefano Leszczynski:
R. - Sì, indubbiamente
la situazione è poco chiara. Addirittura, a Sana’a mi dicono che i morti siano ben
superiori a quelli dichiarati dalla agenzie stampa e potrebbero essere oltre 200.
La causa di questo gravissimo attentato potrebbe essere la vendetta da parte dei jihadisti,
contro cui le forze militari dello Yemen hanno compiuto un’operazione nel sud del
Paese. Potrebbero, quindi, essere stati loro: tra l’altro, in questa operazione contro
i jihadisti nel Sud del Paese ci si sono anche delle forze militari occidentali. Ma
potrebbe anche trattarsi di un pericoloso colpo di coda dell’ex presidente Saleh,
che è stato estromesso e non vuole permettere una transizione democratica del Paese.
D. - Come mai scegliere questo momento, proprio alla vigilia di un’importante
festività nazionale?
R. - Domani, 22 maggio, ricorre l’anniversario dell’unificazione,
avvenuta nel 1990 tra nord e sud proprio ad opera dell’ex presidente Alì Abdullah
Saleh, che aveva approfittato della dissoluzione dell’impero sovietico e del fatto
che Mosca non potesse più esercitare la propria influenza sullo Yemen meridionale.
Alì Abdullah Saleh era riuscito in un’impresa importante unificando il Paese, ma nel
1994 c’è stata la guerra civile fomentata dall’Arabia Saudita. Quello, però, rimane
un risultato importante, anche perché una delle sfide dello Yemen è proprio la secessioni
che il sud ha minacciato in questo anni. Quindi, se il Paese si dovesse sfaldare per
un motivo o per l’altro, questo sarebbe un fallimento Abd Rabbo Mansour, che è l’attuale
presidente.
D. - La crisi yemenita non è soltanto un affare interno, forte
anche l’implicazione internazionale da parte di altri Stati, in particolare da parte
degli Stati Uniti in questo momento…
R. - Sì, gli Usa, sono stati tirati dentro
in Yemen con l’attacco alla nave militare Cole, al largo delle acque di Aden, già
negli anni Novanta. Poi, dopo l’11 settembre 2001, il presidente Alì Abdullah Saleh
si era dichiarato alleato degli Stati Uniti nella guerra al terrorismo e aveva chiesto
e ottenuto da Washington aiuti militari che però avevano preso il sopravvento su tutto
il resto, rispetto anche agli aiuti economici. Con quegli aiuti militari, il presidente
Alì Abdullah Saleh era riuscito a reprimere il dissenso interno, quindi con la complicità
dell’Occidente. Le ingerenze straniere rimangono e oggi sono le ingerenze straniere
americane a permettere agli uomini del clan di Saleh di rimanere al potere, perché
si tratta di figli e nipoti di Saleh che hanno combattuto a fianco degli americani
e che sono gli alleati di Washington nella lotta al terrorismo.