Padre Rupnik: l’arte al servizio della nuova evangelizzazione
Nei giorni scorsi, Benedetto XVI ha nominato l’artista e teologo gesuita padre
Marko Ivan Rupnik membro del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione.
Un’indicazione di quanto la cultura sia importante per il rinnovato impegno di annuncio
del Vangelo. Al microfono di Alessandro Gisotti, padre Rupnik si sofferma proprio
sull’arte al servizio della nuova evangelizzazione:
R. - L’arte
- più di altre espressioni - esprime il nesso tra la vita e la creatività umana. Oggi,
io penso, che la questione - soprattutto in Europa - è veramente una questione della
vita: a livello intellettuale, della ragione, del concetto, è evidente che la filosofia
che abbiamo elaborato negli ultimi secoli, non è stata quella che ha portato alla
vita vera e che ha custodito la vita. Certamente, l’arte esprime molto più incisivamente
il rapporto tra l’uomo e la vita; anche oggi l’arte penso che esprima un dramma, ma
proprio per questo motivo è importante che si cominci di nuovo a cercare un’arte che
possa esprimere quella vita che i cristiani ricevono nel momento del Battesimo. Io
penso che, se si vuole fare un’arte spirituale come gli antichi, bisogna prima cominciare
una vita spirituale.
D. - Per secoli e secoli, la Chiesa ha evangelizzato attraverso
l’arte: forse questa via della bellezza - almeno nella percezione comune - si è un
po’ persa ultimamente?
R. - E’ evidente che la bellezza si è persa attraverso
diversi romanticismi, idealismi: la bellezza è l’amore realizzato, e l’amore realizzato
è il Cristo pasquale! Perciò la bellezza, in qualche modo, è il dramma della vita
che però si risolve nella Risurrezione ed addirittura attinge nell’eskaton,
in una prospettiva assolutamente vittoriosa della luce. Ma penso che bisogna - anche
oggi, come era abbastanza familiare nel primo millennio - fare una distinzione tra
l’arte come tale - che dovrebbe suscitare ammirazione - e l’arte che suscita devozione,
venerazione, ovvero, l’arte che si trova nell’ambito della liturgia, nell’ambito della
celebrazione. Allora, penso che noi possiamo cominciare un dialogo con gli artisti
e cominciare a tessere uno spazio artistico, che non è detto che deve essere esattamente
la pala dell’altare; abbiamo tanti spazi della Chiesa che sono spazi pastorali: cortili,
aule di catechismo che sembrano scuole… invece noi dobbiamo far vedere che la nostra
fede non può essere ridotta alla scuola. E’ la vita!
D. - I giovani e la nuova
evangelizzazione: oggi forse i ragazzi sono più attratti da un film o da un videoclip,
piuttosto che da una pittura o da una scultura ovvero dal grande, immenso, patrimonio
di ricchezza culturale della Chiesa…
R. - Noi dobbiamo preparaci per un tempo
che non è lontano, in cui assisteremo ad un totale rigetto dell’immagine digitale,
dell’immagine televisiva, quella dei film, perché questa immagine sta per raggiungere
una tale saturazione, che la gente non ce la farà più. Allora, noi dobbiamo aiutare
i giovani a dirigersi verso un’immagine spirituale, cioè un’immagine che direttamente
comunica, o indica, o mette in relazione con Dio. Queste immagini odierne sono praticamente
tutte immagini sensuali, con un forte accento dei sensi, della sensualità, della superficie
dell’immagine e non della comunicazione di qualcosa che va al di là dell’immagine.
Ho visto in diverse famiglie cristiane, serie, questa cosa che mi ha consolato molto:
accanto ad Internet, al computer, in stretta vicinanza, c’è anche qualche immagine
veramente spirituale.
D. - L’Anno della fede si avvicina sempre più: come l’arte
può anche aiutare questa importante, grande, iniziativa voluta così fortemente da
Benedetto XVI…
R. - Noi ci siamo abituati ad una fede molto “ideal pensata”,
quasi come se tutto si racchiudesse dentro una dottrina. Invece, la fede è in primo
luogo un atteggiamento relazionale: c’è una relazione reale, personale, con un Dio
personale. Allora, non si può relazionare solo con il cervello. Anzi, con la ragione
non si creano le relazioni, i concetti non riescono a trasmettere né la vita né l’amore;
mentre l’arte, che coinvolge la materia, che coinvolge l’immagine, il corpo, aiuta
a comprendere che si tratta di una realtà integra. Se entrerà di nuovo un po’ l’arte,
già purificata, già più spirituale nelle Chiese, entreranno i fedeli a vedere ciò
che stiamo celebrando.