Le Caritas del Mediterraneo propongono permesso di soggiorno Ue per limitare gli sbarchi
“Un permesso di soggiorno europeo” per motivi di lavoro per limitare gli sbarchi.
E’ la proposta partita dall'edizione 2012 di "Migramed", meeting delle Caritas dei
Paesi del Mediterraneo conclusosi ieri sera a Cagliari. In Europa, ci sono 4 milioni
di posti di lavoro disponibili: ecco perché, secondo gli organizzatori, occorre fare
una determinazione complessiva dei flussi, valutando le presenze necessarie nei 27
Stati. Si tratta di “un’opportunità che, se condivisa, aiuterebbe a redistribuire
il peso tra tutti i Paesi, non sono su quelli che si affacciano sul Mediterraneo,
pesantemente colpiti dalla crisi economica”, spiega Oliviero Forti, responsabile
immigrazione di Caritas Italiana. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. - Innanzi
tutto, abbiamo ribadito la necessità, anche per il futuro, di avere occasioni di confronto
e scambio perché sono di grande utilità, soprattutto in occasione di questa emergenza
nordafricana e mediorientale. Poter ascoltare la voce dei colleghi dei Paesi del Mediterraneo
su cosa sta accadendo, soprattutto su quali siano i percorsi di uscita da questa crisi,
per noi è di grande utilità. Si cercherà insieme di trovare le formule, sia per sostenere
questi Paesi in transizione dal punto di vista politico ed economico, sia per cercare
di fare pressione sui Paesi della sponda Nord, che chiaramente hanno un ruolo fondamentale
nelle dinamiche migratorie di questa vasta area.
D. - Da Migramed, arriva anche
la proposta di un permesso di soggiorno europeo per motivi di lavoro, basato sulla
valutazione complessiva dei flussi di immigrati necessari a coprire i posti disponibili
in Europa..
R. - Certamente. C’è stata una sollecitazione in tal senso dal
collega tedesco, che ci ha raccontato di un mercato di lavoro europeo capace di assorbire
almeno quattro milioni di persone, che dovrebbero andare a occupare altrettante posizioni
lavorative al momento scoperte. Quindi, occorrerebbe provare a implementare una politica
europea, soprattutto sul fronte dei flussi: è certamente una sfida che va affrontata.
D.
– Una condivisione del problema sgraverebbe i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo,
coinvolgendo tutti e 27 gli Stati dell’Unione nella gestione degli sbarchi...
R.
- Certamente: tutti gli Stati dell’Unione, ognuno ovviamente secondo le proprie capacità
di assorbimento relative al mercato del lavoro. Non solo: è necessaria una riflessione
congiunta, partendo dalla situazione dei singoli Paesi di arrivo, ma anche quelli
di partenza. Da qui occorrerebbe realizzare accordi bilaterali: oggi si fanno già,
ma quasi esclusivamente a livello di politiche nazionali. Sono i singoli Stati che
oggi decidono gli accordi con i Paesi di partenza e di transito. Ecco, vorremmo un’Europa
più unita e più presente in questo senso.
D. - Parlava di quattro milioni di
posti di lavoro disponibili in Europa. Un dato che in un momento di crisi è positivo.
Di che tipo di occupazioni si tratta?
R. - Le più diverse. Sappiamo che la
realtà economica dei 27 Paesi dell’Unione è fortemente diversificata. Se pensiamo
alla sponda Sud, ovvero Italia, Grecia, Spagna, ci sono alcuni settori oggi non coperti:
il settore della cura, del lavoro stagionale, dell’agricoltura. Se pensiamo al Nord
Europa, pensiamo a lavori più qualificati. Quindi anche su questo, la riflessione
deve partire dalla valutazione delle singole realtà.
D. - Quindi, sarebbe l’Europa
a decidere le modalità di ingresso e di accesso al mondo del lavoro all’interno dei
Paesi membri?
R. - Questo è il nostro auspicio. Oggi, purtroppo, non è così.
Siamo stati spesso critici sul fatto che oggi gli accordi europei riguardano soprattutto
le politiche restrittive di controllo, di contrasto all’immigrazione irregolare. Questo
è un tema importante ma non deve essere l’unico tema, anzi.
D. - Siamo in apertura
della stagione dei grandi sbarchi. Come passare dalle parole ai fatti?
R. -
Abbiamo appreso purtroppo, che il dispositivo di accoglienza a Lampedusa non è assolutamente
pronto per eventuali afflussi straordinari come quelli dello scorso anno. Avendo appreso,
nello stesso contesto del Migramed, dalla collega libica che ci sono movimenti che
nelle prossime settimane potrebbero portare numeri al momento non definiti verso Lampedusa,
questo chiaramente determina non poca preoccupazione. Noi comunque ci siamo come lo
scorso anno, e cercheremo di fare la nostra parte sull’isola garantendo, dove possibile,
almeno la prima accoglienza.
D. - Per coinvolgere maggiormente i Paesi dell’Unione
Europea come intendete muovervi?
R. - Chiaramente noi possiamo fare solo un’attività
di lobbying sulle istituzioni e sugli altri Paesi. L’auspicio è di poter contare,
nel prossimo futuro, su un intervento più visibile e più concreto.