Al via il G8 a Camp David: in evidenza la crisi economica
A poche ore dalla sessione annuale del G8 a Camp David, si intensifica lo sforzo dei
leader per mettere in atto strategie di crescita per contrastare la crisi economica.
Dall'incontro bilaterale di ieri alla Casa Bianca tra Barack Obama e il neopresidente
francese, Francois Hollande, è emerso un sostanziale accordo sull’ammorbidimento della
linea del rigore imposta dalla Germania e sulla necessità di mantenere la Grecia nella
zona dell’euro. Il servizio di Francesca Baronio:
Al vertice
G8 di Camp David oltre che di crisi economica globale, si parla anche si sicurezza
alimentare, che è stata presentata come una delle priorità di questo summit. Salvatore
Sabatino ne ha parlato con Sergio Marelli, direttore generale della FOCSIV, la Federazione
delle organizzazioni cristiane di volontariato: R. - Oltre alla
grande questione della crescita, dell’economia e quindi delle politiche di sicurezza
economiche e sociali, fortunatamente questo G8 - per volontà della presidenza americana
- ha voluto mantenere nelle grandi priorità la questione della sicurezza alimentare.
E’ ormai un tema che, dall’Aquila in poi, continua a rivestire grande importanza nei
vertici degli otto "grandi" della terra e quindi fa piacere che anche in questa edizione
di Camp David la questione della fame del mondo e della sicurezza alimentare sia tra
i grandi punti della discussione. D. - Le Ong internazionali, però, in un documento,
hanno chiesto che non venga dimenticata e messa in secondo piano la fame del mondo
e questo forse anche in risposta ad una proposta americana che sta facendo discutere… R.
- Sì, nel senso che, detta la grande soddisfazione per la tematica inserita nelle
priorità, resta poi qualche preoccupazione di troppo entrando un po’ nel merito della
questione. Questa “New Alliance”, l'iniziativa per una nuova alleanza lanciata dall’amministrazione
statunitense che ha scelto unilateralmente i Paesi da inserire - Ghana, Tanzania,
Etiopia e Benin - lascia un po’ la grande preoccupazione di una scelta unilaterale,
piuttosto proiettata a favorire ulteriori mercati, ulteriori commercializzazioni per
i Paesi ricchi piuttosto che affrontare questo grande scandalo della fame nel mondo,
che ancora oggi - non dimentichiamolo - colpisce un miliardo di persone. D. - Si
ha sempre l’impressione che in questi grandi eventi che coinvolgono i Paesi più industrializzati
vengano lasciati un po’ da parte, invece, i Paesi poveri. Anche in questo caso sarà
così? R. - Da quando il governo Berlusconi - va riconosciuto - aveva invitato un
ampio numero di Paesi a discutere con il G8 e aveva associato a questa discussione
anche le grandi agenzie internazionali che si occupano di fame e di alimentazione,
a partire da Fao e Ifad, questa volta il gruppo dei Paesi ammessi è molto ristretto.
C’è quindi un rischio che i Paesi poveri, quelli che maggiormente soffrono oggi la
fame, siano un po’ ai margini dell’agenda, delle discussioni, soprattutto delle soluzione
che verranno decise a Camp David.
D. - Insomma le decisioni sulla crisi economiche
posano, di fatto, un grossa ombra su questo argomento? R. - Sicuramente resta il
grandissimo problema della comunità internazionale: pur condividendo che non si possa
fare a meno di parlare di ripresa economica, questo tuttavia non deve assolutamente
far dimenticare la grande responsabilità che gli otto Paesi più ricchi del mondo hanno
nei confronti delle povertà, della fame e della violazione dei diritti umani nei Paesi
del sud del mondo. D. - Tra l’altro, per la prima volta dal G8 di Genova, non è
previsto in questo vertice alcun incontro con la società civile: questo è un elemento
che in molti definiscono preoccupante…
R. - E’ stata la grande sorpresa. Sinceramente
ci aspettavamo che dall’amministrazione Obama ci fosse continuità in questo senso.
La notizia, appresa circa un mese fa, che per la prima volta da Genova non c’è la
possibilità per i rappresentanti delle organizzazioni delle società civili di affiancare
e di interloquire con i lavori del vertice del G8 è stata davvero una amara sorpresa,
una brusca interruzione di una tradizione, di una prassi che ormai da 10 anni a questa
parte si era consolidata e che consentiva soprattutto alle Ong dei Paesi poveri di
far sentire la propria voce ai "grandi" della terra. D. - Si potrà ovviare in
qualche modo a questo mancato invito?
R. - Sicuramente stiamo facendo la nostra
parte. Le Ong americane comunque stanno organizzando delle manifestazioni alternative
e ancor più oggi che non c’è data possibilità di parlare direttamente con i leader
del mondo. Noi continueremo a far sentire la nostra voce, continueremo in quanto Ong
e in quanto Focsiv a far sentire la voce di chi, sempre più, non ha voce nelle grandi
assise internazionali.