Crisi economica e non solo: al vertice G8 di Camp David si parla anche di sicurezza
alimentare
La crisi dell'Eurozona, il problema della Grecia a rischio di uscire dall'area euro,
ma anche l'exit-strategy dall'Afghanistan, alla vigilia del Vertice Nato di Chicago,
e il deteriorarsi della situazione in Siria sono i temi in agenda, oggi e domani,
a Camp David alla riunione dei capi di Stato e di governo degli otto "grandi" del
Pianeta: Stati Uniti, Canada, Giappone, Russia, Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna.
Ma una delle priorità del vertice G8 negli Usa è anche la sicurezza alimentare. Salvatore
Sabatino ne ha parlato con Sergio Marelli, direttore generale della Focsiv,
la Federazione delle organizzazioni cristiane del volontariato:
R. - Oltre
alla grande questione della crescita, dell’economia e quindi delle politiche di sicurezza
economiche e sociali, fortunatamente questo G8 - per volontà della presidenza americana
- ha voluto mantenere nelle grandi priorità la questione della sicurezza alimentare.
E’ ormai un tema che, dall’Aquila in poi, continua a rivestire grande importanza nei
vertici degli otto "grandi" della terra e quindi fa piacere che anche in questa edizione
di Camp David la questione della fame del mondo e della sicurezza alimentare sia tra
i grandi punti della discussione.
D. - Le Ong internazionali, però, in un
documento, hanno chiesto che non venga dimenticata e messa in secondo piano la fame
del mondo e questo forse anche in risposta ad una proposta americana che sta facendo
discutere…
R. - Sì, nel senso che, detta la grande soddisfazione per la tematica
inserita nelle priorità, resta poi qualche preoccupazione di troppo entrando un po’
nel merito della questione. Questa “New Alliance”, l'iniziativa per una nuova alleanza
lanciata dall’amministrazione statunitense che ha scelto unilateralmente i Paesi da
inserire - Ghana, Tanzania, Etiopia e Benin - lascia un po’ la grande preoccupazione
di una scelta unilaterale, piuttosto proiettata a favorire ulteriori mercati, ulteriori
commercializzazioni per i Paesi ricchi piuttosto che affrontare questo grande scandalo
della fame nel mondo, che ancora oggi - non dimentichiamolo - colpisce un miliardo
di persone.
D. - Si ha sempre l’impressione che in questi grandi eventi che
coinvolgono i Paesi più industrializzati vengano lasciati un po’ da parte, invece,
i Paesi poveri. Anche in questo caso sarà così?
R. - Da quando il governo Berlusconi
- va riconosciuto - aveva invitato un ampio numero di Paesi a discutere con il G8
e aveva associato a questa discussione anche le grandi agenzie internazionali che
si occupano di fame e di alimentazione, a partire da Fao e Ifad, questa volta il gruppo
dei Paesi ammessi è molto ristretto. C’è quindi un rischio che i Paesi poveri, quelli
che maggiormente soffrono oggi la fame, siano un po’ ai margini dell’agenda, delle
discussioni, soprattutto delle soluzione che verranno decise a Camp David.
D.
- Insomma le decisioni sulla crisi economiche posano, di fatto, un grossa ombra su
questo argomento?
R. - Sicuramente resta il grandissimo problema della comunità
internazionale: pur condividendo che non si possa fare a meno di parlare di ripresa
economica, questo tuttavia non deve assolutamente far dimenticare la grande responsabilità
che gli otto Paesi più ricchi del mondo hanno nei confronti delle povertà, della fame
e della violazione dei diritti umani nei Paesi del sud del mondo.
D. - Tra
l’altro, per la prima volta dal G8 di Genova, non è previsto in questo vertice alcun
incontro con la società civile: questo è un elemento che in molti definiscono preoccupante…
R.
- E’ stata la grande sorpresa. Sinceramente ci aspettavamo che dall’amministrazione
Obama ci fosse continuità in questo senso. La notizia, appresa circa un mese fa, che
per la prima volta da Genova non c’è la possibilità per i rappresentanti delle organizzazioni
delle società civili di affiancare e di interloquire con i lavori del vertice del
G8 è stata davvero una amara sorpresa, una brusca interruzione di una tradizione,
di una prassi che ormai da 10 anni a questa parte si era consolidata e che consentiva
soprattutto alle Ong dei Paesi poveri di far sentire la propria voce ai "grandi" della
terra.
D. - Si potrà ovviare in qualche modo a questo mancato invito?
R.
- Sicuramente stiamo facendo la nostra parte. Le Ong americane comunque stanno organizzando
delle manifestazioni alternative e ancor più oggi che non c’è data possibilità di
parlare direttamente con i leader del mondo. Noi continueremo a far sentire la nostra
voce, continueremo in quanto Ong e in quanto Focsiv a far sentire la voce di chi,
sempre più, non ha voce nelle grandi assise internazionali.