2012-05-17 12:28:27

Il Cortile dei Gentili per il dialogo con i non credenti riparte da Barcellona


Il ‘Cortile dei Gentili’, la struttura permanente vaticana voluta da Benedetto XVI per promuovere il dialogo con i non-credenti, fa tappa in Spagna, a Barcellona, per un appuntamento dal titolo “Arte, bellezza e trascendenza”, promosso, come i precedenti, dal Pontificio Consiglio della Cultura. Sul significato della scelta del capoluogo della Catalogna per questo nuovo momento di confronto Fabio Colagrande ha intervistato uno dei partecipanti, il prof. Francesco Torralba Roselló, teologo, filosofo, docente all’Università Ramon Llull di Barcellona:RealAudioMP3

R. - Credo che Barcellona sia una buona scelta soprattutto perché da sempre è stata una terra di dialogo, una terra di convivenza tra forme differenti di spiritualità e soprattutto una bella espressione del dialogo tra credenti e non credenti da secoli, soprattutto perché l’oggetto di lavoro, la bellezza, è una cosa che tanto per i credenti come per i non credenti, è veramente un punto di incontro dove si può soprattutto riflettere su quello che unisce le due comunità, soprattutto quello che accomuna gli uomini indipendentemente da ciò a cui credono.

D. - Possiamo dire che la bellezza è rivelatrice di Dio?

R. - Quella è la prospettiva soprattutto dei credenti. Per quanto mi riguarda la mia tesi è questa: la bellezza della naturalezza, la bellezza dell’arte, la bellezza della musica sono già una manifestazione, una rivelazione della bellezza di Dio. Ma nella prospettiva dei laici, dei non credenti, la bellezza è soprattutto una chiamata alla trascendenza, al mistero, alla riflessione; è come un simbolo che fa pensare a cosa siamo, qual è il senso della vita, qual è il nostro ultimo fondamento. Questo non significa che si arriva direttamente a Dio, ma credo che anche i non credenti, vedano nella bellezza una via che porta al mistero, quanto meno al mistero del mondo.

D. - Quale linguaggio devono parlare oggi i credenti, secondo lei, se vogliono incontrare chi non crede?

R. - Soprattutto un linguaggio chiaro, un linguaggio non tecnico, che possa arrivare a tutti. Il linguaggio teologico o intra-ecclesiale è un linguaggio che risulta spesso non comprensibile agli altri; è un linguaggio che ha una tradizione, una forza simbolica, un’eredità di tanti secoli, fatta di tanti differenti concetti, che spesso la persona che non conosce, non conosce i testi biblici, si trova ad essere praticamente “un analfabeta simbolico”, un’analfabeta che non può decifrarne il senso. Per questo, il linguaggio deve essere soprattutto chiaro; deve essere un linguaggio che va alle cose più essenziali della Fede, cioè a quel messaggio che veramente rifletta il cuore del Credo. Penso che questo sia il messaggio di Gesù; il linguaggio di Gesù è un linguaggio per tutti. Gesù soprattutto nella sua predicazione ha parlato attraverso le parabole, i simboli, cercando di arrivare a tutti attraverso le immagini, anche a quelli che non erano formati, non sapevano leggere libri. Il linguaggio deve essere così; un linguaggio adattato all’uomo e alla donna di oggi.







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