Il Cortile dei Gentili per il dialogo con i non credenti riparte da Barcellona
Il ‘Cortile dei Gentili’, la struttura permanente vaticana voluta da Benedetto XVI
per promuovere il dialogo con i non-credenti, fa tappa in Spagna, a Barcellona, per
un appuntamento dal titolo “Arte, bellezza e trascendenza”, promosso, come i precedenti,
dal Pontificio Consiglio della Cultura. Sul significato della scelta del capoluogo
della Catalogna per questo nuovo momento di confronto Fabio Colagrande ha intervistato
uno dei partecipanti, il prof. Francesco Torralba Roselló, teologo, filosofo,
docente all’Università Ramon Llull di Barcellona:
R. - Credo che
Barcellona sia una buona scelta soprattutto perché da sempre è stata una terra di
dialogo, una terra di convivenza tra forme differenti di spiritualità e soprattutto
una bella espressione del dialogo tra credenti e non credenti da secoli, soprattutto
perché l’oggetto di lavoro, la bellezza, è una cosa che tanto per i credenti come
per i non credenti, è veramente un punto di incontro dove si può soprattutto riflettere
su quello che unisce le due comunità, soprattutto quello che accomuna gli uomini indipendentemente
da ciò a cui credono.
D. - Possiamo dire che la bellezza è rivelatrice di Dio?
R.
- Quella è la prospettiva soprattutto dei credenti. Per quanto mi riguarda la mia
tesi è questa: la bellezza della naturalezza, la bellezza dell’arte, la bellezza della
musica sono già una manifestazione, una rivelazione della bellezza di Dio. Ma nella
prospettiva dei laici, dei non credenti, la bellezza è soprattutto una chiamata alla
trascendenza, al mistero, alla riflessione; è come un simbolo che fa pensare a cosa
siamo, qual è il senso della vita, qual è il nostro ultimo fondamento. Questo non
significa che si arriva direttamente a Dio, ma credo che anche i non credenti, vedano
nella bellezza una via che porta al mistero, quanto meno al mistero del mondo.
D.
- Quale linguaggio devono parlare oggi i credenti, secondo lei, se vogliono incontrare
chi non crede?
R. - Soprattutto un linguaggio chiaro, un linguaggio non tecnico,
che possa arrivare a tutti. Il linguaggio teologico o intra-ecclesiale è un linguaggio
che risulta spesso non comprensibile agli altri; è un linguaggio che ha una tradizione,
una forza simbolica, un’eredità di tanti secoli, fatta di tanti differenti concetti,
che spesso la persona che non conosce, non conosce i testi biblici, si trova ad essere
praticamente “un analfabeta simbolico”, un’analfabeta che non può decifrarne il senso.
Per questo, il linguaggio deve essere soprattutto chiaro; deve essere un linguaggio
che va alle cose più essenziali della Fede, cioè a quel messaggio che veramente rifletta
il cuore del Credo. Penso che questo sia il messaggio di Gesù; il linguaggio di Gesù
è un linguaggio per tutti. Gesù soprattutto nella sua predicazione ha parlato attraverso
le parabole, i simboli, cercando di arrivare a tutti attraverso le immagini, anche
a quelli che non erano formati, non sapevano leggere libri. Il linguaggio deve essere
così; un linguaggio adattato all’uomo e alla donna di oggi.