2012-05-16 15:39:17

Al via all'Aja il processo a Mladic, accusato di crimini contro l'umanità


In primo piano oggi al Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia una delle pagine più drammatiche della storia del secolo scorso: la guerra in Bosnia, dal 1992 al 1995, un conflitto che provocò 100 mila morti e oltre 2 milioni di profughi. Alla sbarra Ratko Mladic, l'ex generale serbo-bosniaco catturato un anno fa dopo 16 anni di latitanza. Tra le accuse a Mladic soprattutto il massacro di Srebrenica, la località bosniaca dove nel luglio 1995 furono trucidati 8 mila musulmani. Molte altre le accuse a suo carico. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Andrea Rossini, giornalista e regista di "Osservatorio Balcani e Caucaso": RealAudioMP3

R. – Mladic è accusato di aver partecipato ad una associazione criminale, il cui scopo era quello di rimuovere permanentemente i musulmani bosniaci e i croato-bosniaci dai territorio della Bosnia Erzegovina, che erano stati dichiarati territorio serbo. Inoltre, Mladic deve rispondere anche di crimini contro l’umanità – persecuzione, sterminio, deportazione e atti inumani – e per quanto riguarda soprattutto il lunghissimo assedio di Sarajevo è accusato anche di aver orchestrato una campagna di terrore nei confronti della popolazione di Sarajevo e quindi di violazione delle leggi di guerra. Un’altra accusa è quella dell’aver preso in ostaggio i caschi blu dell’Onu, durante il conflitto per cercare di impedire che avvenissero i bombardamenti sulle postazioni serbo-bosniache.

D. – Di solito con un processo, qualunque sia la sentenza, si volta pagina sul passato: potranno le popolazioni dell’ex Jugoslavia veramente dimenticare quel periodo? Che cosa è rimasto?

R. – Credo che l’apertura del processo dimostra che la giustizia internazionale c’è ed è uno dei meccanismi che possono aiutare a superare eventi tragici quali una guerra o quanto è avvenuto nel territorio dell’ex Jugoslavia negli anni Novanta. Al tempo stesso non bisogna sovradimensionare questo elemento: la giustizia è – appunto – uno degli elementi, ma poi ce ne sono molti altri che dovrebbero aiutare le società a elaborare il passato e a superarlo.

D. – Le gravi accusa rivolte a Ratko Mladic pongono anche un grave interrogativo a tutta la comunità internazionale per quello che durante la guerra in ex Jugoslavia si poteva fare e non è stato fatto…

R. – Diciamo che l’atteggiamento della comunità internazionale in Jugoslavia ha trovato la rappresentazione più drammatica nelle giornate del luglio del ’95 a Srebrenica. In quei giorni i caschi blu olandesi erano presenti, erano sul posto e le Nazioni Unite avevano dichiarato che quella era un’area protetta, dando un mandato alle truppe internazionali di difendere la popolazione assediata. Questo non è avvenuto e questo rappresenta una vergogna che col tempo non è stata cancellata!

D. – Che cosa rimane di quelle guerre nel tessuto sociale di oggi dell’ex Jugoslavia: come vive la gente quel periodo non troppo lontano…

R. – Proprio alcune settimane fa Sarajevo ha ricordato il ventennale dell’inizio dell’assedio con una cerimonia estremamente emozionante: è stato fatto un concerto per 11 mila sedie vuote, che ricordavano le vittime di quell’assedio. La memoria degli anni Novanta è fortemente presente nella vita quotidiana, anche perché potremmo dire che quasi ogni famiglia in Bosnia Erzegovina è stata toccata, in qualche modo, da quegli eventi e da quella guerra. Al tempo stesso, però, questa memoria procede su binari paralleli: possiamo vedere anche in questi giorni per l’apertura del processo Mladic i quotidiani e i media più diffusi nella Federazione di Bosnia Erzegovina, e quindi tra il pubblico prevalentemente bosniaco musulmano o croato bosniaco, sono ricchi di interviste alle vittime e di notizie; i media, invece, serbo-bosniaci hanno un atteggiamento molto diverso rispetto al raccontare questo processo, più scarno e che dimostra un atteggiamento e una memoria molto diversa di quegli anni e di quel tempo.








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