Al via all'Aja il processo a Mladic, accusato di crimini contro l'umanità
In primo piano oggi al Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia una delle pagine più
drammatiche della storia del secolo scorso: la guerra in Bosnia, dal 1992 al 1995,
un conflitto che provocò 100 mila morti e oltre 2 milioni di profughi. Alla sbarra
Ratko Mladic, l'ex generale serbo-bosniaco catturato un anno fa dopo 16 anni di latitanza.
Tra le accuse a Mladic soprattutto il massacro di Srebrenica, la località bosniaca
dove nel luglio 1995 furono trucidati 8 mila musulmani. Molte altre le accuse a suo
carico. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Andrea Rossini, giornalista
e regista di "Osservatorio Balcani e Caucaso":
R. – Mladic
è accusato di aver partecipato ad una associazione criminale, il cui scopo era quello
di rimuovere permanentemente i musulmani bosniaci e i croato-bosniaci dai territorio
della Bosnia Erzegovina, che erano stati dichiarati territorio serbo. Inoltre, Mladic
deve rispondere anche di crimini contro l’umanità – persecuzione, sterminio, deportazione
e atti inumani – e per quanto riguarda soprattutto il lunghissimo assedio di Sarajevo
è accusato anche di aver orchestrato una campagna di terrore nei confronti della popolazione
di Sarajevo e quindi di violazione delle leggi di guerra. Un’altra accusa è quella
dell’aver preso in ostaggio i caschi blu dell’Onu, durante il conflitto per cercare
di impedire che avvenissero i bombardamenti sulle postazioni serbo-bosniache.
D.
– Di solito con un processo, qualunque sia la sentenza, si volta pagina sul passato:
potranno le popolazioni dell’ex Jugoslavia veramente dimenticare quel periodo? Che
cosa è rimasto?
R. – Credo che l’apertura del processo dimostra che la giustizia
internazionale c’è ed è uno dei meccanismi che possono aiutare a superare eventi tragici
quali una guerra o quanto è avvenuto nel territorio dell’ex Jugoslavia negli anni
Novanta. Al tempo stesso non bisogna sovradimensionare questo elemento: la giustizia
è – appunto – uno degli elementi, ma poi ce ne sono molti altri che dovrebbero aiutare
le società a elaborare il passato e a superarlo.
D. – Le gravi accusa rivolte
a Ratko Mladic pongono anche un grave interrogativo a tutta la comunità internazionale
per quello che durante la guerra in ex Jugoslavia si poteva fare e non è stato fatto…
R.
– Diciamo che l’atteggiamento della comunità internazionale in Jugoslavia ha trovato
la rappresentazione più drammatica nelle giornate del luglio del ’95 a Srebrenica.
In quei giorni i caschi blu olandesi erano presenti, erano sul posto e le Nazioni
Unite avevano dichiarato che quella era un’area protetta, dando un mandato alle truppe
internazionali di difendere la popolazione assediata. Questo non è avvenuto e questo
rappresenta una vergogna che col tempo non è stata cancellata!
D. – Che cosa
rimane di quelle guerre nel tessuto sociale di oggi dell’ex Jugoslavia: come vive
la gente quel periodo non troppo lontano…
R. – Proprio alcune settimane fa
Sarajevo ha ricordato il ventennale dell’inizio dell’assedio con una cerimonia estremamente
emozionante: è stato fatto un concerto per 11 mila sedie vuote, che ricordavano le
vittime di quell’assedio. La memoria degli anni Novanta è fortemente presente nella
vita quotidiana, anche perché potremmo dire che quasi ogni famiglia in Bosnia Erzegovina
è stata toccata, in qualche modo, da quegli eventi e da quella guerra. Al tempo stesso,
però, questa memoria procede su binari paralleli: possiamo vedere anche in questi
giorni per l’apertura del processo Mladic i quotidiani e i media più diffusi nella
Federazione di Bosnia Erzegovina, e quindi tra il pubblico prevalentemente bosniaco
musulmano o croato bosniaco, sono ricchi di interviste alle vittime e di notizie;
i media, invece, serbo-bosniaci hanno un atteggiamento molto diverso rispetto al raccontare
questo processo, più scarno e che dimostra un atteggiamento e una memoria molto diversa
di quegli anni e di quel tempo.