Il cardinale Amato: Santa Ildegarda di Bingen, esempio di virtù anche per i nostri
giorni
Il 10 maggio scorso, Benedetto XVI ha esteso alla Chiesa Universale il culto liturgico
in onore di Santa Ildegarda di Bingen, monaca tedesca professa dell'Ordine di San
Benedetto, vissuta nel XII secolo in Germania. Su questa figura femminile straordinaria,
canonizzata de facto, Roberto Piermarini ha intervistato il cardinale
Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi:
R. - In realtà
Ildegarda era considerata santa da secoli. Recentemente, lo stesso Papa Benedetto
XVI aveva dedicato alla badessa renana due catechesi e aveva iniziato dicendo: «Anche
in quei secoli della storia, che noi abitualmente chiamiamo Medioevo, diverse figure
femminili spiccano per la santità della vita e la ricchezza dell'insegnamento. Oggi
vorrei iniziare a presentarvi una di esse: santa Ildegarda di Bingen, vissuta
in Germania nel XII secolo»?
D. - E allora: chi era Ildegarda di Bingen e perché
questo riconoscimento ufficiale della sua santità?
R. - Diciamo subito che
il caso di Ildegarda di Bingen è molto singolare almeno per due motivi. Il primo riguarda
il momento storico particolare, in cui non si era ancora definitivamente concluso
il passaggio dalla canonizzazione vescovile a quella pontificia. Di conseguenza i
primi passi compiuti per la canonizzazione, subito dopo la morte della badessa renana
(1179), risentono ancora di un clima di transizione. Il secondo motivo è dato dalla
radicata e comune convinzione della santità di Ildegarda di Bingen, convinzione che
non si è praticamente mai interrotta fino ai nostri giorni e che fa riferimento a
una canonizzazione de facto della mistica renana, pur non essendo ella de
iure mai stata proclamata santa.Le fonti biografiche; sia quelle coeve
sia quelle successive alla morte, parlano chiaramente di lei come "sancta" o "beata".
La convinzione della sua santità fu ulteriormente rafforzata dalla venerazione riservata
alla sua tomba e alle sue reliquie, e anche dal culto liturgico a lei tributato, con
l'approvazione delle autorità ecclesiastiche, non solo a Magonza, ma successivamente
anche a Treviri, Spira e Limburg e in tutto l'Ordine Benedettino. In seguito, e fino
ai nostri giorni, il suo nome si ritrova riportato sia nei martirologi locali, sia
in quelli ufficiali della Chiesa Romana, e sempre accompagnato dall'appellativo di
"santa". Inoltre, oltre ai tre papi, che avevano la chiara intenzione di procedere
alla canonizzazione di Ildegarda di Bingen - e cioè Gregorio IX, Innocenzo IV e Giovanni
XXII - non mancano sommi pontefici che la designano con l'appellativo di "santa",
come Clemente XIII, Pio XII e, come abbiamo già visto, Giovanni Paolo II e Benedetto
XVI. Tale convinzione comune e generalizzata ha fatto ritenere implicitamente non
necessaria o del tutto superflua oppure già acquisita una procedura specifica per
la canonizzazione di Ildegarda di Bingen, comunemente ritenuta già canonizzata.
D.
- Come si è proceduto per regolarizzare questa situazione?
R. - Benedetto XVI,
constatando l'esistenza da tempo immemorabile di una solida e costante fama sanctitatis
et miraculorum, ha proceduto alla cosiddetta canonizzazione equipollente, secondo
la legislazione di Urbano VIII (1623-1644), in seguito definitivamente teorizzata
da Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV (1740-1758). Nella canonizzazione equipollente
«il Sommo Pontefice comanda che un Servo di Dio - che si trova nel possesso antico
del culto e sulle cui virtù eroiche o martirio e miracoli è costante la comune dichiarazione
di storici degni di fede [...] - venga onorato nella Chiesa universale con la recita
dell'ufficio e la celebrazione della messa in qualche giorno particolare, senza
alcuna sentenza formale definitiva, senza aver premesso alcun processo giuridico,
senza aver compiuto le consuete cerimonie». Tale canonizzazione equipollente di
Ildegarda di Bingen ha avuto luogo con la decisione di Papa Benedetto XVI, del 10
maggio 2012. Esempi di "canonizzazioni equipollenti" vengono elencati da Prospero
Lambertini nel capitolo XLI del libro I del suo opus magnum. Egli cita, ad
esempio, i casi dei santi Romualdo, Norberto, Bruno, Pietro Nolasco, Raimondo Nonnato,
Giovanni Maria de Matha e Felice di Valois, Margherita regina di Scozia, Stefano re
di Ungheria, Venceslao duca di Boemia, Gregorio VII e Gertrude la Grande.
D.
- Cosa ci può dire della sua vita?
R. - Ildegarda di Bingen nacque nel 1098
a Bermersheim in una famiglia di nobil e ricchi possidenti terrieri. All'età di otto
anni fu accettata in qualità di "oblata" nella clausura femminile agganciata alla
badia benedettina di Disibodenberg, dove prese il velo intorno al 1115, emettendo
quindi la sua professione monastica nelle mani del vescovo Ottone di Bamberga.Nel 1136, Ildegarda ormai trentottenne fu nominata "magistra", orientando la sua
spiritualità sulla radice benedettina dell'equilibrio spirituale e della moderazione
ascetica. Intorno al 1140 si intensificarono le sue esperienze mistiche e le sue visioni,
descritte e interpretate poi con l'aiuto del monaco Volmar nello Scivias e
negli altri suoi scritti. Nell'incertezza iniziale sull'origine e sul valore delle
sue esperienze e visioni, ella si rivolse in cerca di consiglio, intorno al 1146,
a Bernardo di Chiaravalle, da cui ebbe piena approvazione, e tra il novembre 1147
e il febbraio 1148, tramite il vescovo Enrico di Magonza e l'abate Kuno di Disibodenberg,
al papa Eugenio III, allora a Treviri, dal quale ottenne praticamente una conferma
pontificia delle sue visioni e dei suoi scritti. In seguito all'aumento numerico delle
monache, dovuto soprattutto alla grande considerazione attribuita alla sua persona,
e in presenza di alcuni contrasti con i vicini monaci benedettini di Disibodenberg,
intorno al 1150 fu possibile a Ildegarda fondare, anche utilizzando i suoi beni familiari
e il supporto economico della ricca famiglia von Stade, un proprio monastero sul Rupertsberg,
alla confluenza del fiume Nahe con il Reno, nei pressi di Bingen, dove si trasferí
insieme a venti monache, tutte di estrazione nobiliare. Nel 1165, sia a causa del
grande numero di richieste di ingresso, sia soprattutto per permettere anche alle
candidate non nobili di accedere alla vita monastica benedettina, Ildegarda fondò
ad Eibingen, sulla riva opposta del Reno, un nuovo monastero, utilizzando e ristrutturando
un vecchio edificio, già appartenuto agli agostiniani, e insediando in esso una priora
per la comune amministrazione. Di entrambi i monasteri, del Rupertsberg e di Eibingen,
ella rimase l'unica badessa: pur risiedendo normalmente a Rupertsberg, si recava due
volte la settimana in barca al monastero di Eibingen per assicurare alle sue due fondazioni
unità di indirizzo spirituale, di direzione amministrativa e di governo.
D.
- Cosa dire della santità di Ildegarda?
R. - In Ildegarda esiste estrema consonanza
tra i suoi insegnamenti e la sua vita reale. All'inizio della sua prima opera, lo
Scivias, Ildegarda vede il timor di Dio come sommo ideale monastico secondo
la Regula Benedicti. Al timor Domini si accompagnano le altre virtù,
particolarmente importanti nella vita monastica, come l'umiltà, l'obbedienza, la castità,
insieme alle colonne portanti di ogni credente, che sono la fede, la speranza e la
carità. Dopo il timor Domini c'è la discretio, la moderazione, che non
è frutto dello sforzo umano ma dell'aziohe divina nell'uomo: «Il parlare discreto
consiste nel fatto che i monaci nelle principali consultazioni comuni si esprimano
"modice ac breviter" e che nella loro convivenza fraterna si rivolgano vicendevolmente
parole che vogliano essere comprese come espressioni di amore che siano orientate
all'affetto fraterno». Come autrice degli scritti sulle sue visioni, come badessa
della comunità di suore benedettine, come personalità di spicco in frequente contatto
con i personaggi del suo tempo, ella divenne sempre più di dominio pubblico. Per cui
tutti, consorelle e persone esterne, potevano verificare la coerenza tra le sue parole
e i suoi comportamenti. Fu questa virtuosità concreta che spinse Teodorico di Echternach
a comporre la Vita Sanctae Hildegardis, che fu stesa proprio con l'intenzione
di rendere nota la vita esemplare e santa di Ildegarda. E in questa biografia appare
il suo edificante atteggiamento anzitutto nel monastero, con le virtù della carità
verso tutti, della verginità, dell'umiltà, della modestia, del silenzio, della pazienza.
Ella bruciava di carità e di zelo. In modo particolare ella praticò la virtù dell'umiltà,
sperimentata non solo nelle forme e nei gradi dell'articolo 7 della Regola benedettina,
ma anche nell'accettazione devota della debolezza fisica e della sofferenza, che la
resero capace di ricevere i doni straordinari della grazia. Prima ancora che all'esterno,
la sua vita era devota e gradita a Dio nel nascondimento prima del monastero di Disibodenberg
e poi in quello proprio di Rupertsberg. Il benedettino Guiberto di Gembloux (1124-1214)
in una lettera al suo amico Bovo esprime le sue impressioni su Ildegarda e le sue
monache dicendo, tra l'altro, che nel monastero c'è una tale concentrazione di virtù,
tra la madre che abbraccia le sue figlie con tanta carità e le figlie che si sottomettono
alla madre con tanta riverenza, che a stento si riesce a discernere se in questo zelo
reciproco sia la madre a superare le figlie o viceversa.