2012-05-14 12:41:10

Partita la corsa alle risorse petrolifere del Polo Nord: grandi i rischi ambientali


La corsa ai giacimenti di petrolio e gas del Polo Nord è partita: nuove basi esplorative si stanno moltiplicando in tutta la zona dell’Artide. Le principali potenze mondiali e le compagnie petrolifere hanno in progetto lo sfruttamento massiccio di quest’area: ma grandi sono i rischi ambientali. Sulla corsa alle risorse energetiche del Polo Nord, Federico Piana ha sentito Valerio Rossi Albertini, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche:RealAudioMP3

R. - Viene fatta perché le scorte planetarie di petrolio si stanno assottigliando in maniera consistente. Andiamo incontro al cosiddetto “picco” del costo del prezzo: quando una parte consistente delle riserve si è esaurita, per la più fondamentale delle leggi di mercato, i prezzi iniziano ad aumentare. Allora noi ci troveremmo di fronte ad un’altra crisi petrolifera, ed anzi, inevitabilmente questo sarà il nostro destino, se non correremo ai ripari in altra maniera invece di andare a perforare le aree protette. Perché mentre le crisi petrolifere del passato sono state contingenti, ad esempio quando le Sette Sorelle decisero di ridurre la produzione di greggio -quindi fu fatto un po’ ad arte-, in questo caso, nel momento in cui le scorte iniziassero ad esaurirsi, ci sarebbe invece una crisi strutturale, dalla quale non sarà possibile tornare indietro. È stimato che ci sia il 13 percento delle riserve mondiali sotto la calotta artica; allora iniziano ad esplorare, a fare delle prospezioni anche in quelle zone che dovrebbero essere protette, così come lo è l’Antartide. In Antartide fu fatto un protocollo di intesa, sottoscritto in piena Guerra Fredda da tutti quanti i Paesi, che vietava, precludeva, la possibilità di andare a fare questo genere di perforazioni, di trivellazioni. Purtroppo l’Artide non è protetto da un protocollo di intesa e di tutela dello stesso genere, e quindi questi progetti, potrebbero effettivamente concretizzarsi. Adesso una speranza è che alla fine di giugno, il 20 di giugno esattamente, ci sarà il summit mondiale chiamato “Rio+20”, a cui tutti quanti i Paesi sono invitati a partecipare. Il nome “Rio+20” nasce proprio per evocare lo stesso summit, lo stesso incontro che fu fatto venti anni fa a Rio de Janeiro, in cui per la prima volta, i grandi della Terra, si accordarono per una prospettiva di sviluppo sostenibile a livello planetario. Ora, in questa sede gli auspici sono buoni; questa potrebbe essere la prima occasione per tentare di concordare un piano di azione che preservi l’Artide dalla profanazione.

D. - Secondo lei, quale potrebbe essere il danno ambientale provocato da questa estrazione così selvaggia di gas e petrolio?

R. - Allora, prima cosa: la trivellazione stessa produce un danno ambientale notevolissimo, perché questa comporta uno sconvolgimento dell’ecosistema. Non bisogna immaginare che una trivella sia semplicemente una punta di trapano che entra nel terreno; si tratta di un cantiere immenso che ruota intorno a delle macine di roccia - perché così sono in fondo le trivelle - che triturano tutto quello che trovano nel loro percorso, e tutto l’insediamento industriale intorno ad esse comporta un disastro ambientale già in partenza. Poi c’è un’altra considerazione: abbiamo visto quello che è accaduto nel Golfo del Messico; un banale incidente, perché tale era, una tubazione che si era rotta, ha prodotto uno sconvolgimento, ed eravamo nel Golfo del Messico, eravamo in prossimità delle coste degli Stati Uniti, quindi una zona molto controllata, e nonostante ciò, non c’è stato niente da fare. Ci sono voluti mesi per tappare la falla, figuriamoci se capitasse in una zona che è lontana da occhi indiscreti, e dove è difficilissimo arrivare, dove tutte quante le attrezzature possono essere trasportate soltanto in tempi lunghi. In questo caso c’è da ritenere - perché la logica ci suggerisce questo - che lì una falla produrrebbe un’emissione di petrolio che potrebbe veramente compromettere la vita dell’Artide.







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