Tripoli lancia l'allarme immigrazione. Terzi: subito un piano dell'Ue
"Temiamo un peggioramento nei prossimi giorni sul fronte dell’immigrazione clandestina."
L’allarme arriva dal ministro degli Esteri libico Ashour Bin Khaial che oggi ha incontrato
il capo della Farnesina. Dal canto suo Terzi rinnova la collaborazione tra i due Paesi,
poi chiede all’Ue di mettere a punto un piano che finanzi gli strumenti già esistenti
per risolvere il problema. Intanto nella notte a Mazara del Vallo, nel Trapanese,
é sbarcato un gommone con a bordo una trentina di nordafricani. Come leggere questo
ennesimo allarme? Cecilia Seppia lo ha chiesto a padre Giovanni La Manna
presidente del Centro Astalli.
R.
– E’ ingiustificato parlare di allarme e di emergenza. Assistiamo da anni ad un fenomeno
che non abbiamo mai voluto governare: persone che tentano di arrivare in Italia in
Europa… Sappiamo da dove partono, non hanno un’alternativa, se non quella di viaggiare
come clandestini. Parlare in termini di allarme significa spaventare. Vorremmo sentire
piuttosto parlare di programmi di un’accoglienza progettuale che sicuramente devono
vedere uniti l’Italia e l’Europa insieme.
D. - Infatti il ministro Terzi ha
chiesto all’Europa di mettere a punto con immediatezza un piano che contempli anche
quelle risorse che già sono a disposizione dell’Europa per affrontare la questione
dell’immigrazione…
R. - Essendoci stato un cambio, quindi un governo tecnico
che non è preoccupato di consensi elettorali, aspettiamo che si lavori con una volontà
onesta per governare questo fenomeno. Non possiamo limitarci a dire: non abbiamo le
risorse, ci dovete aiutare. In un momento di crisi i primi a ragionare in maniera
progettuale dobbiamo essere noi per avere quella autorevolezza necessaria per far
ragionare l’Unione europea.
D. – Terzi ha salutato con favore questa collaborazione
con la Libia per il monitoraggio delle frontiere. Per risolvere il problema non serve
soltanto la sicurezza, il controllo…
R. - Dobbiamo smetterla di preoccuparci
soltanto del controllo, dobbiamo governare questo fenomeno. Queste persone, in nome
della convenzione di Ginevra, hanno diritto ad una protezione, ad un’accoglienza progettuale,
che ne rispetti la dignità come persone e ne rispetti i diritti. Si tratta di persone
che muoiono in prossimità delle nostre rive e muoiono in mare. Non sapremo mai quanti
morti pesano sulla nostra coscienza. Basta politiche di controllo e di chiusura: iniziamo
a pensare e ad attuare, spinti da una volontà onesta, politiche di governo di questo
fenomeno e di apertura a chi ha diritto ad arrivare in Italia e in Europa, fornendo
anche alternative. Noi sappiamo che persone scappano, come in Mali dove la situazione
nel Paese mette in fuga parecchie persone… Ora, qualcuno ci dica con onestà come queste
persone possono arrivare in tutta sicurezza in un Paese che le riconosca nella dignità
e nel diritto all’asilo politico. Fino ad oggi nessuno ha detto come è possibile per
una persona che scappa dal proprio Paese arrivare in tutta sicurezza in Italia. Falsamente
si è parlato di contrasto ai trafficanti di uomini ma il risultato è stato soltanto
maggiori rischi per queste persone, più soldi ai trafficanti che si sono inventati
nuove rotte e più rischi per le persone.
D. - L’Italia è chiamata a fare la
sua parte però è anche vero che questo non è un problema solo italiano e Lampedusa
non è l’unica porta sul Mediterraneo…
R. – Sì. E’ necessario far valere un’autorevolezza
fondata su politiche oneste di governo di questo fenomeno. L’Italia da sola non ce
la può fare ma deve uscire dal ruolo di quelli che piangono perché non ce la fanno
perché sono troppi... Iniziamo a coinvolgerci, a dimostrare con segni concreti che
queste persone vanno accolte perché ne hanno diritto e per rispetto alla loro dignità
di persone. Con questa autorevolezza facciamo ragionare l’Europa ricordando che noi
siamo una porta, arrivando anche all’estremo della provocazione dicendo: se io sono
una porta, e l’Unione europea non vuole affrontare con politiche di doverosa accoglienza
queste persone, lasciamo questa porta aperta. Assicuro che più del 50 per cento di
queste persone non si fermano in Italia, non hanno intenzione di fermarsi in Italia,
e anche questo dovrebbe interrogarci.