2012-05-12 12:42:19

Festa della mamma, "Save the Children" lancia l'allarme su malnutrizione di madri e bambini


E’ il Niger il luogo "peggiore" dove essere mamme, seguito dall’Afghanistan. Lo afferma il 13.mo rapporto sullo stato delle madri nel Mondo di "Save the Children", diffuso in occasione della Festa della Mamma. 165 i Paesi inseriti nella lista, che agli ultimi dieci posti vede nazioni dove un bambino su 7 muore prima dei 5 anni, mentre 1 su 3 soffre di malnutrizione. L’allattamento al seno potrebbe salvare 1 milione di bimbi all’anno, ma - spiega Valerio Neri, direttore generale di "Save the Children" Italia - in Niger “la gente mangia sempre meno bene”. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – La gente riempie lo stomaco, ma di proteine ce ne sono sempre meno. Le mamme vanno a partorire sottopeso loro e sottopeso il bambino, con conseguenze drammatiche: i bambini che riescono a salvarsi, restano in perenne stato di malnutrizione, quindi con ulteriori conseguenze gravi sullo sviluppo nel prosieguo della loro vita. Noi facciamo queste rilevazioni ogni anno e la cosa più triste è che negli ultimi anni la forbice tra i Paesi in fondo alla lista e quelli all’inizio – cioè Norvegia, Svezia, il Nord Europa che è sicuramente uno dei posti migliori al mondo dove si possa essere madre – è sempre più ampia. Chi sta bene sta sempre meglio, ma chi sta male sta sempre peggio.

D. – E questo lo testimoniano i Paesi che si trovano in fondo alla lista, tutti dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia meridionale …

R. – Sì: Afghanistan, Yemen, Guinea Bissau, Mali, Eritrea, Ciad, Sudan, Sud Sudan, Congo, dove povertà, malnutrizione e guerriglia fanno parte di una stessa causa maligna. La povertà e la guerra, nei Paesi poveri, vanno sempre insieme e costituiscono uno dei motivi fondamentali e strutturali del perché, in questi Paesi, sia veramente difficile sollevare lo stato della popolazione.

D. – Di quali fattori avete tenuto conto per stilare questa lista?

R. – Sono due gruppi di indicatori statistici: uno riguarda i bambini, e quindi soprattutto la mortalità infantile. Purtroppo, Afghanistan e Niger sono i Paesi in cui la mortalità infantile è più alta in assoluto. Ce ne sono molti di più sulle madri, tutti indicatori che fotografano lo stato di emancipazione della donna, o di partecipazione della donna ai luoghi di potere della nazione in cui si trova. Faccio un esempio: la partecipazione delle donne alla vita politica è considerata un fattore di grande sensibilità circa la capacità delle donne di agire per la loro famiglia come per il loro Paese, e quindi è un fattore di grande importanza. Il fatto che una donna abbia studiato di più o di meno, ha una diversa incidenza sulla sua capacità di tenere in vita i suoi figli: è incredibile, ma questo è accertato in maniera incontrovertibile. Più una donna studia, più facilmente sarà una madre in grado di proteggere e quindi poi di far sviluppare bene i propri figli.

D. – E per quanto riguarda, invece, i rapporti tra l’uomo e la donna all’interno della famiglia, che fotografia presentano i Paesi?

R. – Questo è un fattore culturale di grandissima importanza. Ci sono Paesi in cui il rapporto è paritario, ovviamente, nel Nord del mondo, ma non solo. Ad esempio, un Paese come l’Egitto sta facendo grandissimi passi avanti a questo riguardo. Poi ci sono altri Paesi, purtroppo quelli ancora un po’ più legati al mondo tribale, dove la situazione è completamente diversa. Nel Sud Sudan, se le ragazze studiano lo devono all’apertura mentale del padre, perché se il padre dice: “Mia figlia non deve studiare, deve semplicemente andare in sposa a qualcuno”, la ragazza e la madre della ragazza non hanno alcuna possibilità di intervenire. Fino ad arrivare a situazioni drammatiche – come in Eritrea, ad esempio, ma anche in Etiopia – dove molto spesso le donne sono costrette a matrimoni molto anticipati, da bambine praticamente, e lì siamo a livello quasi schiavistico. Facilmente avrà un bambino ad una età molto, molto giovane con conseguenze spesso drammatiche sulla salute sia della mamma – quasi bambina – che del nascituro.

D. – Quali le richieste, quindi, che "Save the Children" rivolge ai “grandi”, al G8, in vista dell’incontro del 18 e 19 maggio a Camp David, dove si affronterà il tema della nutrizione?

R. – Noi riteniamo che il mondo faccia troppo poco. I potenti della terra potrebbero fare assai di più per aiutare i Paesi più poveri ad avere un’alimentazione migliore, perché l’alimentazione è veramente una delle cause della mortalità infantile. Occorre quindi investire di più in questi Paesi, ma secondo modalità di efficienza, non tanto investire in mega-ospedali, ma nella formazione di persone che possano visitare le parti più remote dei Paesi, portando alle popolazioni rurali più lontane informazioni igieniche di base: lavarsi le mani, allattare i bambini al seno almeno fino al sesto mese di età … tutte cose necessarie a salvare queste donne da parti spesso molto tragici e con conseguenze assolutamente drammatiche e mortali per i bambini. Il mondo ha una responsabilità altissima, può interrompere questo circolo vizioso dell’ignoranza e della povertà. Speriamo che il G8, sebbene in un momento di relativa difficoltà economica del mondo ricco, sappia fare uno sforzo maggiore per i Paesi che più ne hanno bisogno.







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