Stragi in Siria: condanna del Papa, necessario impegno congiunto della comunità internazionale
Il Papa, insieme a tutta la comunità cattolica, esprime “una ferma condanna e la commossa
vicinanza” alle famiglie delle vittime dei “tragici attentati che ieri hanno insanguinato
le strade di Damasco”. Lo riferisce il direttore della Sala Stampa della Santa Sede,
padre Federico Lombardi. “Questi attentati – sottolinea il portavoce vaticano - dovrebbero
spingere tutti ad operare una svolta per un rafforzato impegno nel dare attuazione
al Piano Annan, che è stato accettato dalle parti in conflitto. Gli attentati di ieri
attestano inoltre che la situazione in Siria richiede un impegno congiunto e deciso
da parte di tutta la comunità internazionale perché si ponga in atto quel Piano e
al più presto siano inviati altri Osservatori. È sempre più attuale – conclude padre
Lombardi - l’appello formulato dal Santo Padre il giorno di Pasqua: Occorre intraprendere
senza indugio la via del rispetto, del dialogo e della riconciliazione”.
Intanto,
le autorità di Damasco e l'opposizione si rimpallano le responsabilità dei due attentati
che ieri hanno causato 55 vittime nella capitale. Dopo la dura condanna dell’Onu,
oggi anche la Cina critica fortemente la violenza terroristica. Ieri sono rimaste
ferite anche circa 300 persone mentre la risposta repressiva dei militari e della
polizia ha fatto registrare altre vittime – almeno 20 - al centro e nel nord ovest
del Paese.
Il nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari, ha dichiarato
alla Misna che “violenza chiama violenza e quanto successo a Damasco è una pagina
triste e dolorosa di un conflitto che man mano che passa il tempo diventa sempre più
difficile da risolvere”. “L’impressione - ha spiegato - è che gli attentati compiuti
ieri siano strumento di una forza che intende compromettere gli sforzi di pace portati
avanti in questo momento e su cui tanta speranza è stata riposta dalla popolazione”.
A preoccupare il nunzio è la notizia delle armi che continuano ad affluire in Siria.
Del dolore e sconcerto della gente ci parla il padre gesuita Paolo Dall’Oglio,
fondatore del Monastero siriano di Deir Mar Musa, raggiunto telefonicamente dalla
collega del programma francese della nostra emittente, Mathilde Auvillain:
R. - Sicuramente
la società locale è nuovamente sotto shock. Abbiamo ricevuto telefonate da parte di
molte persone, sia per assicurarci che stavano bene anche se toccate ma in modo non
grave dall’evento, sia per chiedere informazioni. D’altra parte il quartiere dove
sono avvenuti gli attentati è vicino ad un quartiere che conta una grande presenza
cristiana. Tutta la popolazione è sotto shock, e tutti si chiedono quale sia la logica
aberrante che si nasconde dietro queste azioni più che condannabili. Naturalmente
non hanno niente a che vedere con qualunque obiettivo di sviluppo e riforma della
società locale, ed è impossibile allo stato delle cose, capire chi si nasconda dietro
queste esplosioni.
D. - Il capo degli osservatori dell’Onu, Robert Mood, ha
chiesto aiuto alla comunità internazionale...
R. - In un certo senso la collettività
internazionale, quindi i Paesi di questa regione, per interessi regionali globali,
si sono interessati alla Siria in un modo che certamente non ha aiutato, che radicalizza
le posizioni e porta ad uno scontro più violento. Quindi in un certo senso si potrebbe
anche dire: “Lasciateci in pace”. Ma sotto un altro punto di vista, sono perfettamente
d’accordo con il generale Mood. Io ho sempre chiesto nei mesi scorsi che la collettività
internazionale esprimesse una responsabilità intera, completa, nei confronti di questi
eventi. La Siria è diventata il ring di un pugilato regionale pericolosissimo e quindi
la collettività internazionale deve esprimere una solidarietà responsabile ed efficace.
La scelta degli osservatori disarmati dell’Onu è giusta, ma non siamo ancora a 300;
e 300 sono pochissimi. Qui c’è bisogno di un lavoro capillare con altissima capacità
investigativa, per garantire ai siriani, da un lato, una vera e propria libertà di
opinione, di espressione, e di manifestazione e, dall’altro, di lavorare per estirpare
la violenza terrorista nel Paese da qualunque parte essa sia espressa.
Il Patriarca
melkita Gregorios III Laham parla di “barbarie senza precedenti” e lancia un appello
perché “il mondo dica basta”. Anche la cattedrale melkita è stata danneggiata ieri
dalle esplosioni a Damasco. Gli osservatori Onu continuano il loro lavoro mentre la
popolazione è spaccata: è quanto, al microfono di Fausta Speranza, racconta
Cristiano Tinazzi che ha appena lasciato la Siria:
R. - La missione
degli osservatori viene percepita in modo positivo, ma al momento siamo ancora sui
100-120 osservatori. Bisognerà aspettare la fine del mese per averne 300 sul territorio
e quindi per vedere quanto e come si riuscirà poi a monitorare la situazione in tutto
il Paese e a far mantenere il cessate-il-fuoco. La volontà delle Nazioni Unite è chiara:
comunque gli osservatori non tornano indietro! Certo è che la situazione adesso non
è tra le migliori, soprattutto nella zona di Dara, per quello che sono riuscito a
vedere: a Dara ho visto una forte presenza di militari, anche molto giovani, soldati
di leva, armati pesantemente, con mitragliatrici pesanti, come se dovessero affrontare
una guerriglia; ad Homs, invece, gli ultimi armati che si trovano ancora in alcuni
quartieri sotto il controllo dei ribelli finiranno presto – credo - di combattere…
D.
- Quindi ad Homs la gente si è arresa?
R. - Diciamo che Homs è chiusa in un
sacco: tutte le vie di accesso sono controllate; hanno problemi di rifornimento. La
città è disabitata. Ci sono alcuni quartieri dove ancora ci sono combattimenti: anche
lì ci sono le Nazioni Unite, ma non possono fare niente se non rilevare le violazioni
del cessate-il-fuoco, che chiaramente vengono da entrambe le parti. La novità è che
in tante zone i mezzi pesanti non si vedono. E’ chiaro che se gli osservatori dell’Onu
passano e poi non passano per tre giorni, i siriani hanno tutto il tempo di far riuscire
i carri armati dai posti dove erano stati nascosti.
D. - Che cosa dici della
disperazione e della preoccupazione della gente?
R. - Da quello che ho capito,
nel poco tempo che sono riuscito a rimanere - soltanto pochi giorni - ho trovato una
popolazione divisa: molti hanno appoggiato e appoggiano la sollevazione, soprattutto
tra i sunniti, ma molti non appoggiano questo tipo di sollevazione, una sollevazione
che è poi diventata armata. Condividono le richieste, le istanze di maggiore democrazia
e il riconoscimento dei diritti civili, ma non accettano in nessun modo la lotta armata
e questo soprattutto da parte delle minoranze, come quella cristiana, che si trovano
nel Paese. Questo sta portando quasi a una scissione all’interno del Paese.