2012-05-11 15:38:14

Chiude il Forum economico mondiale sull'Africa di Addis Abeba


Si chiude oggi, 11 maggio, ad Addis Abeba il Forum Economico Mondiale sull’Africa. Settecento tra esperti, imprenditori e dirigenti politici hanno cercato di delineare nei tre giorni di lavori le linee guida per lo sviluppo del continente. E mentre la crisi delle economie occidentali continua, l’Africa attrae investimenti esteri in modo crescente. E’ quanto spiega nell’intervista di Davide Maggiore, il giornalista esperto di Africa del “Sole 24 Ore”, Riccardo Barlaam:RealAudioMP3

R. – Alcune banche internazionali, come JP Morgan, Crédit Suisse, Barclays, Bank of China, stanno aprendo succursali in questi ultimi mesi, soprattutto in Sudafrica, perché cercano business, attratte da questi tassi di crescita che – in termini assoluti – sono bassi rispetto ai Paesi occidentali, ma comunque di rilievo se si considera che quest’anno il Pil africano in media cresce del 5,4 per cento secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi). Barclays, che in Africa è presente in diversi Paesi, ha 22 mila impiegati tra la sua banca e le banche controllate. Il fenomeno è successivo a quello dell’espansione cinese in Africa negli ultimi 10-15 anni, che ha cambiato un po’ le carte in tavola. E’ di qualche giorno fa la notizia che il Congresso americano ha approvato una legge bipartisan sulle esportazioni dagli Stati Uniti: loro prevedono nei prossimi dieci anni di triplicare le esportazioni verso i Paesi africani e credo che la concorrenza dei Paesi occidentali nelle partnership con questi Paesi, che hanno tutto da sviluppare, sia positiva perché aiuta la Cina a non avere appetiti neocoloniali.

D. – In questo processo, giocano un ruolo anche i fondi speculativi?

R. – Per ora, per fortuna, no perché non ci sono grandi mercati finanziari. Il lavoro che fanno le banche anche di finanziare, di aiutare gli investimenti, prestare capitali, cercare di espandersi pian piano con la rete nei vari Paesi, è più un supporto dell’economia. Per ora la finanza, per fortuna, mi sembra ancora marginale.

D. – Non c’è il rischio che questo sviluppo economico si traduca in uno sviluppo a "macchia di leopardo", tanto per quanto riguarda le aree geografiche quanto per benefici che potrebbero riguardare le sole élite?

R. - Quando si parla di sviluppo in Africa ovviamente non si può pensare a uno sviluppo con i canoni occidentali. L’Africa è un continente dove il 70 per cento della popolazione vive in aree rurali, nei villaggi. L’Africa è come un treno dove ci sono vagoni che sono drammaticamente all’ultimo posto, pensiamo alla Somalia. In ogni caso, negli ultimi 15 anni, c’è stato un miglioramento, direi generale, delle condizioni. Il problema di questo sviluppo è che sia ordinato e che quindi non si creino, come sta succedendo, le megalopoli, le baraccopoli di persone che scappano dalle campagne e vanno verso le città, ma si cerchi di favorire anche uno sviluppo ordinato, per cui le persone riescono a lavorare anche nelle campagne.

D. - Quali sono le "locomotive" di questo possibile treno africano?

R. – Il Sudafrica è senz’altro una delle locomotive, come pure l’Egitto che si trova in un difficile momento di transizione, come l’Angola nella cui capitale una camera d’hotel costa più che a New York. O come la Nigeria devastata da questi problemi interni… Accanto a questi ce ne sono altri come il Mozambico, il Botswana, il Ghana che è il Paese che in assoluto ha avuto un aumento del Pil l’anno scorso più elevato al mondo, oltre il 20 per cento.

D. – Tra le storie di successo africane, c’è anche la comparsa di magnati locali che hanno accumulato patrimoni molto elevati…

R. – Ci sono tanti miliardari africani. A Lagos, in Nigeria – dove c’è già una concessionaria di auto inglesi, di Aston Martin e di Lamborghini – hanno aperto una filiale Porsche e contano di vendere almeno 100 Porsche all’anno nel Paese Sempre in Nigeria, ci sono marchi occidentali come Moet & Chandon, Louis Vuitton… I nuovi ricchi e questa classe media – i manager delle telecomunicazioni o manager nati accanto alle società pubbliche di diversi Paesi africani – la prima cosa che fanno è cercare di imitare il peggio dell’Occidente e il peggiore consumismo. Ovviamente, i marchi cosiddetti del lusso fanno il loro lavoro e sbarcano anche loro come le banche in Africa in cerca di affari.







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