La guerra dimenticata del Nord Kivu: oltre due milioni di sfollati
E’ un conflitto sempre più dimenticato quello in corso da anni nel Nord del Kivu,
una regione ricca di risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo e a ridosso
dei confini di Rwanda e Uganda. Nonostante gli accordi del 2009 per l’assorbimento
dei movimenti di guerriglia nelle file dell’esercito, in quest'area si continua a
combattere per il controllo delle risorse. E a farne le spese sono ancora una volta
i civili, costretti a fuggire dalla guerra e dai soprusi. Come ci spiega padre
Loris Cattani, missionario saveriano della Rete Pace per il Congo, intervistato
da Stefano Leszczynski:
R.
– L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) parla di un aumento
degli sfollati nel numero di 241mila in questi primi tre mesi dell’anno, per cui adesso
gli sfollati nel Nord Kivu ammontano ad oltre due milioni.
D. - Qual è la situazione
nella regione?
R. – Questa situazione si deve soprattutto alle operazioni militari
che l’esercito congolese sta conducendo contro i gruppi armati nazionali, che non
sono stati integrati nell’esercito regolare, e gruppi stranieri, in particolar modo,
la Formazione democratica di liberazione del Rwanda e l’Esercito del Signore ugandese.
D.
– Perché questa è una regione così strategica da un punto di vista militare?
R.
– Questa crisi che il Kivu sta vivendo e che si cerca di far passare come la conseguenza
di una diserzione di massa degli ex appartenenti al Congresso nazionale per la Difesa
del Popolo (Cndp), in realtà nasconde la questione del controllo della parte orientale
della Repubblica Democratica del Congo (RDC) da parte del regime rwandese. Fin quando
non si risolve questo problema sarà difficile che migliorino le condizioni. L’Est
del Kivu è molto ricco di minerali e gli stessi esperti dell’Onu incaricati per il
Congo continuano a denunciare il commercio illegale dei minerali che passa proprio
attraverso il Rwanda e l’Uganda.
D. – Quindi, in sostanza, è una situazione
che può essere risolta soltanto con il contributo della comunità internazionale?
R.
– Io non so, la comunità internazionale a dire il vero è molto ambigua sulla questione.
Sono anni, infatti, che si parla di un “piano Cohen” e del “piano Sarkozy” che teorizzano
una condivisione delle ricchezze minerali e la creazione di un mercato comune; un’ipotesi
che ritengo corretta, certo, ma che possa rispettare i diritti del popolo congolese.
Non si tratta di liberalizzare il commercio a favore di Paesi stranieri, a favore
delle multinazionali, si tratta di regolarizzare questo mercato e quindi renderlo
trasparente.