Manifestazioni contro la giunta militare al Cairo: almeno 30 morti
Sempre forti le tensioni di piazza in Egitto. Violente manifestazioni anche oggi al
Cairo contro il regime militare di transizione. Almeno 30 le vittime causate stamani
dagli scontri tra dimostranti e polizia davanti al Ministero della Difesa. Decine
i feriti. Alle proteste, organizzate da vari gruppi dell’opposizione, partecipano
giovani della rivoluzione del 25 gennaio, salafiti e attivisti di altri movimenti.
Chiedono che la giunta al potere si faccia da parte e che a tutti i rappresentanti
dell’ex regime di Mubarak sia impedita la partecipazione alle elezioni. Quale l’effetto
di queste tensioni nel processo di democratizzazione in Egitto? Giancarlo La Vella
lo ha chiesto a Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa:
R. – Il processo
di preparazione delle elezioni presidenziali, che si terranno al primo turno alla
fine del mese, è stato un processo molto tormentato, che ha lasciato fuori candidati
eccellenti. Quindi, questo naturalmente ha accresciuto le tensioni, che già da tempo
maturano nel Paese, in conseguenza di un processo di transizione molto complesso.
Sappiamo che l’esercito, in questo momento, sta cercando di esercitare un ruolo di
mediatore, ma anche di cercare di fare in modo che i conflitti non oltrepassino una
certa linea di guardia. E’ difficile prevedere se con le elezioni presidenziali poi
l’assetto definitivo del Paese potrà dare stabilità.
D. – Per quale motivo
alle rivolte della primavera araba, e l’Egitto ne è un esempio, non è seguito un momento
di stabilizzazione sia pure nel necessario confronto politico anche acceso?
R.
– Bisogna tener conto che, durante gli anni di Mubarak, le dinamiche politiche sono
state soffocate, anche se in Egitto c’era già una rappresentanza politica plurima,
a differenza di altri Paesi. Con la libertà è difficile trovare un’abitudine alla
dialettica politica. Non nascondiamoci poi che l’Egitto è un Paese per certi versi
ricco, ma che miseria e povertà colpiscono una buona parte della popolazione e le
differenze innescano sempre dinamiche violente. In più, aggiungiamo questa lunga battaglia
delle idee su chi interpreta l’islam in modo più politico e chi invece vuole lasciare
all’islam, alla religione, un ruolo più di carattere spirituale e culturale.
D.
- Le opposizioni chiedono le dimissioni della giunta militare, ma quale piano propongono?
Non c’è il rischio di entrare in una situazione estremamente caotica?
R. –
Certamente, del resto tutti questi Paesi delle primavere arabe hanno vissuto in maniera
diversa, ma hanno vissuto un periodo in cui l’esercito è stato in qualche modo l’ago
della bilancia e ha saputo condurre una transizione meno violenta e meno dolorosa
di quella che sarebbe stata altrimenti.
D. – La comunità cristiano-copta, che
nei mesi successivi alla rivoluzione ha subito numerose violenze, che ruolo ha nella
situazione attuale?
R. – Il fatto che esista una comunità cristiana così importante
è sicuramente un elemento a favore del pluralismo, ma lei stessa si trova in questo
momento sotto attacco e non è certo facile per lei giocare quel ruolo di equilibrio,
che potrebbe essere tipico di una forte minoranza, come è oggi la minoranza cristiano-copta
in Egitto.