La preghiera del primo martire cristiano al centro dell’udienza generale del Papa
Nelle ultime catechesi del mercoledì, il Papa aveva spiegato come, “nella preghiera
personale e comunitaria, la lettura e la meditazione della Sacra Scrittura aprano
all’ascolto di Dio che ci parla e infondano luce per capire il presente”. Oggi, in
Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha parlato “della testimonianza e della preghiera
del primo martire della Chiesa, santo Stefano, uno dei sette scelti per il servizio
della carità verso i bisognosi. Nel momento del suo martirio, narrato dagli Atti degli
Apostoli, si manifesta, ancora una volta, il fecondo rapporto tra la Parola di Dio
e la preghiera”.
Il Papa ricorda che “Stefano viene condotto in tribunale,
davanti al Sinedrio, dove viene accusato di avere dichiarato che «Gesù …distruggerà
questo luogo, [il tempio], e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato» (At 6,14).
Durante la sua vita pubblica, Gesù aveva effettivamente preannunciato la distruzione
del tempio di Gerusalemme: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere»
(Gv 2,19). Tuttavia, come annota l’evangelista Giovanni, «egli parlava del tempio
del suo corpo. Quando, poi, fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono
che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» (Gv
2,21-22)”.
“Il discorso di Stefano davanti al tribunale, il più lungo degli
Atti degli Apostoli – prosegue il Papa - si sviluppa proprio su questa profezia di
Gesù, il quale è il nuovo tempio, inaugura il nuovo culto, e sostituisce, con l’offerta
che fa di se stesso sulla croce, i sacrifici antichi. Stefano vuole dimostrare come
sia infondata l’accusa che gli viene rivolta di sovvertire la legge di Mosè e illustra
la sua visione della storia della salvezza, dell’alleanza tra Dio e l’uomo. Egli rilegge
così tutta la narrazione biblica, itinerario contenuto nella Sacra Scrittura, per
mostrare che esso conduce al «luogo» della presenza definitiva di Dio, che è Gesù
Cristo, in particolare la sua Passione, Morte e Risurrezione. In questa prospettiva
Stefano legge anche il suo essere discepolo di Gesù, seguendolo fino al martirio”.
Il Papa osserva quindi che la meditazione sulla Sacra Scrittura permette così
a Stefano di comprendere il suo presente. “In questo egli è guidato dalla luce dello
Spirito Santo, dal suo rapporto intimo con il Signore tanto che i membri del Sinedrio
videro il suo volto «come quello di un angelo» (At 6,15). Tale segno di assistenza
divina, richiama il volto raggiante di Mosè disceso dal Monte Sinai dopo aver incontrato
Dio (cfr Es 34,29-35; 2 Cor 3,7-8)”.
“Nel suo discorso – continua Benedetto
XVI - Stefano parte dalla chiamata di Abramo, pellegrino verso la terra indicata da
Dio e che ebbe in possesso solo a livello di promessa; passa poi a Giuseppe, venduto
dai fratelli, ma assistito e liberato da Dio, per giungere a Mosè, che diventa strumento
di Dio per liberare il suo popolo, ma incontra anche e più volte il rifiuto della
sua stessa gente. In questi eventi narrati dalla Sacra Scrittura, della quale Stefano
mostra di essere in religioso ascolto, emerge sempre Dio, che non si stanca di andare
incontro all’uomo nonostante trovi spesso un’ostinata opposizione”.
“In tutto
ciò – spiega - egli vede la prefigurazione della vicenda di Gesù stesso, il Figlio
di Dio fattosi carne, che – come gli antichi Padri – incontra ostacoli, rifiuto, morte.
Stefano si riferisce quindi a Giosuè, a Davide e a Salomone, messi in rapporto con
la costruzione del tempio di Gerusalemme, e conclude con le parole del profeta Isaia
(66,1-2): «Il cielo è il mio trono e la terra sgabello dei miei piedi. Quale casa
potrete costruirmi, dice il Signore, e quale sarà il luogo del mio riposo? Non è forse
la mia mano che ha creato tutte queste cose?» (At 7,49-50). Nella sua meditazione
sull’agire di Dio nella storia della salvezza, evidenziando la perenne tentazione
di rifiutare Dio e la sua azione, egli afferma che Gesù è il Giusto annunciato dai
profeti; in Lui Dio stesso si è reso presente in modo unico e definitivo: Gesù è il
“luogo” del vero culto”.
Stefano, dunque, non nega l’importanza del tempio
– rileva il Papa – “ma sottolinea che «Dio non abita in costruzioni fatte da mano
d’uomo» (At 7,48). Il nuovo tempio in cui Dio abita è il suo Figlio, che ha assunto
la carne umana, è l’umanità di Cristo, il Risorto che raccoglie i popoli e li unisce
nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. L’espressione circa il tempio “non
costruito da mani d’uomo”, si trova anche nella teologia di san Paolo e della Lettera
agli Ebrei: il corpo di Gesù, che Egli ha assunto per offrire se stesso come vittima
sacrificale per espiare i peccati, è il nuovo tempio di Dio, il luogo della presenza
del Dio vivente; in Lui Dio e uomo, Dio e il mondo sono in contatto: Gesù prende su
di sé tutto il peccato dell’umanità per portarlo nell’amore di Dio e per «bruciarlo»
in questo amore. Accostarsi alla Croce, entrare in comunione con Cristo, vuol dire
entrare in questa trasformazione”.
“La vita e il discorso di Stefano – afferma
il Papa - improvvisamente si interrompono con la lapidazione, ma proprio il suo martirio
è il compimento della sua vita e del suo messaggio: egli diventa una cosa sola con
Cristo. Così la sua meditazione sull’agire di Dio nella storia, sulla Parola divina
che in Gesù ha trovato il pieno compimento, diventa una partecipazione alla stessa
preghiera della Croce. Prima di morire, infatti esclama: «Signore Gesù, accogli il
mio spirito» (At 7,59), appropriandosi delle parole del Salmo 31,6 e ricalcando l’ultima
espressione di Gesù sul Calvario: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»
(Lc 23,46); e, infine, come Gesù, grida a gran voce davanti a coloro che lo stavano
lapidando: «Signore, non imputare loro questo peccato» (At 7,60). Notiamo che, se
da un lato la preghiera di Stefano riprende quella di Gesù, diverso è il destinatario,
perché l’invocazione è rivolta allo stesso Signore, cioè a Gesù che egli contempla
glorificato alla destra del Padre: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo
che sta alla destra di Dio» (v. 55)”.
Il Papa conclude la sua catechesi con
due annotazioni. “La testimonianza di santo Stefano ci offre alcune indicazioni per
la nostra preghiera e la nostra vita. Ci possiamo chiedere: da dove questo primo martire
cristiano ha tratto la forza per affrontare i suoi persecutori e giungere fino al
dono di se stesso?”. La risposta è semplice: “dal suo rapporto con Dio”, nonché “dalla
meditazione sulla storia della salvezza, dal vedere l’agire di Dio, che in Gesù Cristo
è giunto al vertice”. Quindi “anche la nostra preghiera dev’essere nutrita dall’ascolto
della Parola di Dio”.
C’è poi un secondo elemento: “santo Stefano vede preannunciata,
nella storia del rapporto di amore tra Dio e l’uomo, la figura e la missione di Gesù.
Egli - il Figlio di Dio – è il tempio “non fatto da mano d’uomo” in cui la presenza
di Dio Padre si è fatta così vicina da entrare nella nostra carne umana per portarci
a Dio, per aprirci le porte del Cielo. La nostra preghiera, allora, deve essere contemplazione
di Gesù alla destra di Dio, di Gesù come Signore della nostra, della mia, esistenza
quotidiana. In Lui, sotto la guida dello Spirito Santo, possiamo anche noi rivolgerci
a Dio – conclude il Papa - con la fiducia e l’abbandono dei figli che si rivolgono
ad un Padre che li ama in modo infinito”.