Ad un anno dalla morte di Bin Laden, Obama in Afghanistan firma un accordo con Karzai
Visita lampo del presidente statunitense Barack Obama in Afghanistan, dove ha firmato
con il suo omologo Hamid Karzai un accordo di partnership strategica che definisce
le relazioni per i dieci anni successivi alla fine del ritiro delle forze nel 2014,
relazioni segnate “dal rispetto reciproco”. Come definire questo accordo? Salvatore
Sabatino lo ha chiesto a Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università
Cattolica di Milano:
R. – Un accordo
che richiama quello che fecero gli Stati Uniti, con il presidente Bush, con l’Iraq.
Quando gli Stati Uniti decidono di uscire da un Paese in cui si sono introdotti militarmente,
vogliono tenere comunque una relazione speciale e garantire che loro lasciano militarmente,
ma non abbandonano questo Paese. Valeva per l’Iraq, vale tanto più con l’Afghanistan,
che non è in realtà pacificato, i talebani sono sul punto di vincere la guerra e il
Paese ha un bisogno fortissimo di aiuti a tutti i livelli: militare, di assistenza,
di ricostruzione istituzionale e anche economica.
D. – C’è da dire che, comunque,
i rapporti tra Washington e Kabul non sono mai stati così tesi, dopo la strage di
civili a Kandahar da parte di un marine americano. Quanto questa visita potrà migliorare
le relazioni tra i due Paesi?
R. – Questa è una visita fatta con un occhio
all’Afghanistan e con un occhio alla rielezione di Barack Obama questo autunno. Quindi,
non credo che questa visita sia un cambiamento significativo. Del resto, noi siamo,
come Occidente, fortemente insoddisfatti di Karzai e Karzai, dal canto suo, è sempre
più critico della nostra presenza, anche perché sa che ce ne stiamo andando e in qualche
modo vuole garantirsi un futuro politico. La situazione è quella che è, cioè abbastanza
pessima da un punto di vista della sicurezza, della ricostruzione, e quindi è un rapporto
molto logorato fra persone che si sopportano poco ormai.
D. – Obama è arrivato
in Afghanistan nell’anniversario dell’uccisione di Osama Bin Laden. Si può parlare
di una vera e propria sfida lanciata da Al Qaeda in questo modo?
R. – In parte
sì, anche se l’Al Qaeda tradizionale mi sembra molto disarticolata e silente. Io la
vedo più come una mossa elettorale: l’ha fatto per ribadire che lui è stato il presidente
che ha raggiunto, colpito e ucciso il nemico numero uno degli Stati Uniti. Io la vedrei
più in chiave interna che in chiave di sfida ad Al Qaeda.