Ban Ki-moon incontra per la prima volta Aung San Suu Kyi
Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, oggi a Rangoon in Myanmar, ha incontrato
per la prima volta la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi. Nell’occasione, Ban
ha salutato come una ''prova di flessibilità in nome della causa superiore del popolo''
la decisione del Premio Nobel per la Pace di giurare in Parlamento con gli altri neo-deputati
della Lega nazionale per la democrazia, sbloccando così una contesa che rischiava
di minare il clima di distensione creato dalle riforme in atto nel Paese. Rispetto
al ruolo dell'Occidente nello scenario birmano, Ban ha affermato che la revoca delle
sanzioni politiche ed economiche ''non è sufficiente'', ''la comunità internazionale
deve fare di più, deve andare oltre''. Sul processo di normalizzazione in corso in
Birmania, Salvatore Sabatino ha sentito il prof. Francesco Montessoro,
docente di Storia dell’Asia presso l’Università Statale di Milano:
R. – La normalizzazione
è in corso e si è aperta una fase in cui si ha una dialettica relativamente normale.
Il dato di fondo è che Aung San Suu Kyi partecipa alla vita politica nazionale e può
incidere in vario modo nel suo corso.
D. – Il segretario generale dell’Onu,
Ban Ki-moon, in visita in Myanmar, ha esortato il presidente birmano, Thein Sein,
e la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, a lavorare insieme per portare avanti
i cambiamenti necessari al Paese. Sarà possibile una collaborazione, secondo lei?
R.
– Secondo me, è probabile che si giunga ad una collaborazione, nel senso che vi sono
molte forze interne, intanto, e poi anche internazionali, che fanno pressioni in questa
direzione: non soltanto le Nazioni Unite, ma anche la Cina, e non solo gli Stati Uniti,
naturalmente.
D. – Quali possono essere gli argomenti su cui sarà possibile
poi costruire una discussione?
R. – Intanto la partecipazione al potere, quello
che sta accadendo in Birmania o Myanmar, è precisamente questo: l’accoglimento del
ruolo, dello spazio politico di quella che era l’opposizione, un accoglimento che
i generali birmani hanno accettato nel corso degli ultimi anni. Ciò che è accaduto
con la Costituzione del 2008 e con le elezioni del 2010 è una sorta di apertura programmata
all’opposizione, naturalmente entro certi limiti.
D. – Il Myanmar ha pagato
un prezzo altissimo, in seguito alle sanzioni imposte in questi anni dall’Occidente.
Ora che anche questo scoglio sta per essere superato ce la farà ad emergere economicamente?
Ricordiamo che, comunque, è uno dei Paesi più poveri al mondo...
R. – E’ uno
dei Paesi più poveri al mondo, ma è anche un Paese dotato di risorse e di una posizione
strategica ragguardevole e, dunque, probabilmente riuscirà ad inserirsi in un’area,
quella dell’Asia orientale, in generale, che è in rapida ascesa.
D. – Proprio
su questo fronte, ora che il Myanmar si sta aprendo al mondo, quanto conterà sullo
scacchiere asiatico?
R. – In un certo senso, conta relativamente poco e conterà
ancora relativamente poco, poiché non è un Paese che abbia una posizione strategica
così rilevante da condizionare la politica dei propri vicini. Non bisogna esagerare
con il riconoscere al Myanmar un ruolo notevole. Però, è un Paese che ha un suo profilo
interessante, soprattutto perché riesce a giocare – e lo ha fatto negli ultimi decenni
– con i propri vicini abbastanza bene. Non è mai stato il Myanmar un Paese nelle mani
di Pechino, come spesso in maniera propagandistica si è sostenuto. Si tratta piuttosto
di un Paese che ha saputo equilibrare il rapporto con la Cina, con l’India e con la
Thailandia e, dunque, questo ruolo probabilmente continuerà ad essere svolto.