Il commento al Vangelo della Domenica di Pasqua del teologo padre Bruno Secondin
Il Vangelo della quarta Domenica di Pasqua presenta la figura del Buon Pastore. Nel
brano di Giovanni, Gesù afferma:
“Io sono il buon pastore, conosco le mie
pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il
Padre, e do la mia vita per le pecore”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo
il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente emerito di Teologia
spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Immagine classica
questa del pastore ideale, che era molto vicina alla esperienza di allora, oggi forse
meno familiare. Ma la chiave interpretativa è molto valida anche oggi: il pastore
“bello” o nobile - come dice il greco - agisce con cuore generoso, si fa dono nel
suo servizio, crea una intesa perfino affettuosa con le pecore. Si riconoscono - dice
il testo - a vicenda, attraverso la voce e la premura con cui il pastore le guida
e le protegge, e le pecore si fidano.
Qualcosa di analogo ai misteriosi dialoghi
fra Gesù e il Padre: che paragone sublime, che forza dà questa convinzione! Non è
solo un mestiere, è una familiarità misteriosa che guida i nostri passi e riempie
di fiducia la nostra appartenenza al gregge del Signore. Non una vita da pecoroni,
passivi e senza libertà. Ma la partecipazione all’intensa vita del Figlio nei confronti
del Padre: una famiglia di Dio che si costituisce e deve coinvolgere il mondo intero,
come in unico gregge insieme al pastore unico.
“Quale grande amore ci ha dato
il Padre!”, esclama Giovanni. Ci rendiamo conto che noi viviamo la vita stessa di
Dio e di questo dobbiamo essere testimoni e custodi? E non a parole o con proclami
roboanti, ma in modo fattivo e generoso.