Gioco d'azzardo: malattia per oltre un milione e mezzo di italiani, molti giovani
Secondo un recente rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), oltre
un milione e mezzo d’italiani – il 3% della popolazione – soffre di dipendenza da
gioco d’azzardo. I soggetti più vulnerabili sono i giovani, alcune stime parlano di
centinaia di migliaia di ragazzi che grazie ad Internet giocano costantemente. “L’importante
è trattare il problema come una patologia”, sottolinea al microfono di Benedetta
Capelli il prof.Antonio Tundo, direttore dell’Istituto di psicopatologia
di Roma:
R. – Il gioco
d’azzardo è una dipendenza, una dipendenza comportamentale; è un comportamento che
mi dà piacere e sollecita molto tutte quelle aree del mio sistema nervoso che danno
piacere e, in particolare, una sostanza che si chiama dopamina. Ora, il problema è
che nel sistema nervoso dei giovani questa sostanza è molto, molto presente rispetto
alle persone adulte, ancor più che negli anziani. Quindi, in qualche modo, i ragazzi
sono più sollecitati a cercare la novità e valutano meno le conseguenze.
D.
– E questo, a livello comportamentale, come si può tradurre?
R. – La dipendenza
porta alla ricerca compulsiva, spasmodica di quel comportamento. Nonostante io crei
debiti o possa avere dei problemi con i famigliari e con la giustizia - pur valutando
le conseguenze - non riesco a trattenermi.
D. – Parlando di ragazzi, questo
chiama in causa ovviamente i genitori, come la scuola. Ci sono dei segnali che possono
essere colti?
R. – Chi cade in questa trappola della dipendenza tende ad andarsene
dalla scuola, a isolarsi, a vedere meno gli amici e a trascorrere molto tempo su Internet,
perché poi questo è lo strumento con cui giocano d’azzardo. Ovviamente, quando la
situazione diventa più pesante e quindi cominciano ad avere preoccupazioni su come
procurarsi i soldi, sulla perdite e così via, compaiono comportamenti di nervosismo,
irritabilità, scontrosità, il dormire male. Tutti segnali che un buon genitore, come
un buon insegnante, possono cogliere. Si può, dunque, capire che qualcosa non va.
D. – Allora, qual è l’approccio migliore di fronte a una persona che evidentemente
soffre di una dipendenza?
R. – Quello che è da evitare è la repressione e,
quindi, un attacco diretto oppure far leva su principi morali. Questo non porta da
nessuna parte. Serve la comprensione, il mantenere aperto il dialogo, un aiuto, un
trattamento e una cura e, quindi, spingere, sollecitare a prendere consapevolezza
del problema - perché in genere si tende a negare quando si è in questa situazione
- e seguire percorsi giusti per uscirne fuori.
D. – Il gioco d’azzardo, come
la dipendenza anche da Internet, sono due elementi che negli ultimi tempi stanno diventando
sempre più emergenze sociali. La medicina in questo senso è stata pronta a rispondere
o no?
R. – La medicina si sta organizzando. Ci sono degli interventi psicologici,
soprattutto di gruppo – i gruppi di auto aiuto sono tra le cose che più funzionano
– e se necessario quello psicologico personale e poi, in ultima analisi, se dietro
– come non di rado accade – c’è una depressione, c’è una forma di ansia, c’è una forma
di instabilità dell’umore, anche un intervento psichiatrico, per stabilizzare queste
componenti e rendere quindi la persona meno vulnerabile.
D. – Nel gioco d’azzardo,
e in particolar modo su Internet, ci sono tutta una serie di attori, che in un certo
senso ne traggono benefici, però appunto le conseguenze sociali sono innegabili. Che
cosa si auspica lei nel futuro? Interventi normativi potrebbero in un certo modo aiutare?
R.
– Quello che possiamo fare è evitare di mettere a disposizione questi strumenti, in
maniera tale che chi ha delle fragilità non cada. Sul fatto, dunque, che gli aspetti
normativi limitino questo dilagare del gioco d’azzardo sono totalmente d’accordo,
perché c’è una pressione continua: anche la pubblicità spinge a giocare e, se qualcuno
è più debole, a cadere nella spirale del gioco.