Mons. Warduni: l’Iraq è una terra di speranza ma abbiamo bisogno di aiuto
L’Iraq non conosce tregua, solo ieri dieci persone hanno perso la vita in un duplice
attentato avvenuto a Diyala. Una violenza che sta fiaccando sempre di più la popolazione,
già provata da tanti anni di conflitto. A rivelarlo è mons. Shlemon Warduni,
vescovo ausiliare di Baghdad, in questi giorni in Italia in qualità di presidente
di Caritas Iraq. Si tratta di una delle tappe di un tour europeo per far conoscere
le attività della Caritas locale, ma anche i bisogni della popolazione civile. Benedetta
Capelli lo ha intervistato:
R. - Fondamentalmente,
Caritas è amore, è servizio, è sacrificarsi per l’altro. Quando c’è bisogno di qualche
lavoro, di qualche servizio siamo sempre pronti a farlo. I nostri concittadini hanno
ancora tanto bisogno... La situazione non è che sia un granché ed è per questo che
abbiamo detto: “I nostri hanno bisogno e quindi noi andiamo”. Noi vogliamo spiegare
qual è la nostra situazione a quelle persone che ci hanno sempre amato, che ci hanno
sempre aiutato. Vogliamo ringraziarli e vogliamo mostrare i nostri bisogni, che speriamo
finiranno quanto prima. Noi stiamo aspettando quel giorno nel quale anche noi riusciremo
ad aiutare gli altri.
D. - Ma quali sono i bisogni della popolazione civile
irachena?
R. - Noi abbiamo tanti bisogni, ma anzitutto abbiamo bisogno della
pace, della sicurezza. Se non ci sarà pace, se non ci sarà sicurezza, saremo sempre
in questa situazione, in questi guai, e non saremo mai tranquilli. Abbiamo bisogno,
per esempio, di aiuto per i bambini disabili: ce ne sono tanti, tanti, tanti. Parliamo
di milioni di bambini che hanno bisogno di aiuto. Abbiamo tanti orfani, abbiamo tante
vedove, abbiamo tanti giovani che hanno bisogno di aiuto per seminare la pace e la
riconciliazione. C’è un progetto di alcuni volontari - e tra i volontari non ci sono
soltanto cristiani, ma ci sono anche musulmani - che cerca di insegnare che l’umanità
ha bisogno di gente del dialogo.
D. - Quali sono stati gli interventi più
significativi della Caritas Iraq, soprattutto durante gli anni del conflitto?
R.
- La Caritas irachena non ha mai interrotto il suo lavoro:ha sempre lavorato sia per
aiutare i malati e tutti coloro che erano in seria difficoltà a causa della guerra,
sia per aiutare i poveri. Quando c’è una situazione di bisogno, la Caritas è questo
che deve fare. Tanti hanno sofferto a causa della povertà, a causa dei bombardamenti:
ci sono stati tanti feriti che hanno avuto bisogno.
D. - Quante sono le persone
che operano nella Caritas irachena?
R. - Nella Caritas irachena operano più
di 120 persone e più di trecento i volontari. Quelli che lavorano proprio al centro
sono circa una quarantina.
D. - Lei ha parlato dell’insicurezza del popolo
iracheno, del fatto che ci sono ancora tanti attentati e soprattutto che le prospettive
anche a livello politico sono ancora molto incerte. Qual è la sua speranza per l’Iraq?
R.
- Noi abbiamo sempre sperato nel Signore. Siamo figli della speranza e senza questa
speranza, saremmo già finiti. Noi speriamo che il più presto possibile ci sia la riconciliazione
irachena e che il Signore dia la luce a tutti coloro che lavorano al servizio del
popolo iracheno, affinché abbiano la saggezza e con sacrificio - col donarsi senza
interessi per la felicità del popolo iracheno - riescano a costruire un Iraq nuovo.
Questo, però, non potrà avvenire se non ci sarà l’amore. Quell’amore che nella nostra
lingua cristiana è il sacrificio per l’altro, è il volere il bene dell’altro più del
nostro.
D. - Vuole fare un appello dai microfoni della Radio Vaticana per
quanto riguarda la Caritas irachena?
R. - Certamente. Prima di tutto vogliamo
ringraziare quanti la hanno aiutata e speriamo che continueranno ad aiutarla. Cari
amici ascoltatori il Signore sia con voi: cercate di continuare a pregare per sostenere
la pace mondiale e la sicurezza di tutti i popoli in tutto il mondo.