Iraq: messaggio di pace dal convegno di Kirkuk promosso dalla Chiesa
Il governo centrale irakeno e il governatorato del Kurdistan devono "contribuire a
risolvere i problemi, piuttosto che contribuire a complicarli", perché le loro decisioni
possono avere "un impatto negativo" in particolare nei settori dei servizi, dell'economia
e della sicurezza. È questo uno dei sette punti del documento sottoscritto ieri a
Kirkuk - nel nord del Paese - da oltre 50 intellettuali, leader politici e religiosi
irakeni, durante il convegno "Costruire ponti per la pace" promosso dal locale arcivescovado.
Un appuntamento che ha generato ottimismo e speranza per il futuro, commenta all'agenzia
AsiaNews mons. Louis Sako, perché solo grazie alle "diversità" si potrà realizzare
davvero una convivenza fondata "sul dialogo" e "il rispetto dei diritti altrui". Speranze
condivise anche dagli altri partecipanti e firmatari, fra cui il parlamentare curdo
Sheik Lattif Guli che ha dichiarato: "Ora, grazie alla Chiesa, siamo diventati 50
ponti per la pace". Durante il forum di ieri nella grande sala conferenze interna
all'arcivescovado caldeo di Kirkuk, si è discusso di riconciliazione politica, sociale,
religiosa alla presenza di personalità locali e nazionali di primo piano. Al termine
dell'incontro, gli oltre 50 presenti hanno sottoscritto un documento in sette punti,
per attuare "in modo concreto" i propositi di pace, convivenza pacifica e sviluppo
di tutta la regione. Nel dettaglio, il documento prevede: al primo punto, l'invito
a "vivere assieme e rispettare il variegato mosaico" della città di Kirkuk, secondo
i principi di "armonia e rispetto"; secondo, promuovere il dialogo perché "con la
violenza non si cambia né si migliora la situazione"; al terzo punto, lo smantellamento
di discorsi e iniziative che conducono a "odio, emarginazione, esclusione"; quarto,
l'auspicio che si possa "mediante consenso" arrivare all'elezione dei membri del Consiglio
provinciale; quinto punto, la situazione delle carceri e una giustizia più rapida
ed efficiente; sesto, l'appello "al governo centrale e al governo del Kurdistan" perché
"risolvano davvero i problemi" piuttosto che "peggiorare la situazione"; settimo e
ultimo punto, la nascita di un "comitato" chiamato a vigilare sul rispetto di "diversità
e differenze" e che "promuova in modo concreto il dialogo". Commentando la giornata
di ieri, mons. Louis Sako - arcivescovo di Kirkuk e anima dell'iniziativa - manifesta
un cauto ottimismo: "La nostra presenza - spiega ad AsiaNews - riuniti come una sola
famiglia per costruire ponti di pace è un bene grande. Possiamo così esprimere la
nostra unità e fraternità". Il prelato avverte che è necessario "accettarci e rispettarci"
partendo "dalle nostre diversità, dalle nostre legittime differenze". "Il dialogo
nasce dal rispetto del diritto degli altri - aggiunge ancora - ad essere diversi per
nazionalità, cultura, lingua, religione e sesso". Per questo ricorda il Vangelo di
Matteo, nel passo in cui Cristo cita la legge dei Profeti: "Fate agli altri - conclude
mons. Sako - ciò che vorreste che gli altri facessero a voi. Questa è l'unica regola
di convivenza armoniosa". Kirkuk, con i suoi 900mila abitanti, da tempo è al centro
di un conflitto etnico-politico fra arabi, turcomanni e curdi. Questi ultimi la vorrebbero
annessa alla regione del Kurdistan, mentre arabi e turcomanni sostengono il legame
con il governo centrale irakeno. La città è stata teatro di diversi attentati e attacchi
mirati, che hanno colpito a più riprese anche la minoranza cristiana, e sono acuiti
da una componente economica: il sottosuolo della regione è infatti ricco di petrolio
e gas, il cui controllo e sfruttamento è conteso dalle diverse fazioni in lotta. (R.P.)