Sudan: Khartoum non permette gli aiuti delle Ong nei campi profughi
«Non dobbiamo negare o dimenticarci di questo nuovo conflitto». Christine du Coudray
Wiehe, responsabile internazionale della sezione Africa di Aiuto alla Chiesa che Soffre
(Acs), invita a non distogliere lo sguardo dal confine tra Sudan e Sud Sudan e a pregare
affinché le violenze volgano al termine e non si diffondano altrove. «Il rischio di
una nuova guerra è alto – afferma – perché è nelle volontà dello stesso presidente
sudanese Omar Hassan al Bashir». A quasi dieci mesi dall’indipendenza del Sud Sudan,
Juba e Khartoum non si sono ancora accordate sulla linea di demarcazione che separa
i due Stati. Tra le aree contese c’è soprattutto quella di Heglig, ricca di pozzi
petroliferi, recentemente riconquistata dall’esercito sudanese. E secondo gli esperti
uno scontro bellico tra i due Paesi porterebbe a conseguenze ben più gravi della guerra
civile che, dal 1985 al 2005, ha causato oltre due milioni di morti. Intanto la popolazione
vive nel terrore. «Sulle montagne Nuba i bambini corrono a ripararsi nelle grotte
non appena sentono il rumore di un aereo». La du Coudray - tra gli ideatori del Simposio
dei vescovi africani ed europei – riferisce che gli abitanti delle regioni frontaliere
sono stati bombardati, uccisi e hanno dovuto abbandonare le proprie case. A causa
delle esplosioni, in molti hanno subito mutilazioni e riportato gravi ustioni, mentre
la fame dilaga e tanti bambini sono in pericolo di vita. «Chi ascolta il grido di
queste persone innocenti?». Informata da fonti locali, la responsabile Acs rende noto
che il governo del Sudan non permette alle Organizzazioni non governative di distribuire
viveri o allestire campi profughi, e che in Darfur sono stati arrestati alcuni membri
del clero e dell’associazione umanitaria cattolica SudanAid. «La Chiesa gioca un ruolo
fondamentale nel sostenere la popolazione, ma non può farcela da sola. Bisogna intervenire
il prima possibile». Lunedì scorso Aiuto alla Chiesa che Soffre ha ricevuto l’appello
del vescovo episcopale di Khartoum, il reverendo Ezekiel Kondo, che racconta alla
Fondazione pontificia le gravi difficoltà della Chiesa sudanese in seguito all’indipendenza
del Sud Sudan. Già prima della secessione, numerosi fedeli avevano abbandonato il
Nord a maggioranza musulmana, per paura che il presidente al-Bashir – incriminato
dal Tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità, per il genocidio in Darfur –
potesse attuare un’ancor più radicale islamizzazione. «Ora sembra sia in atto un piano
per eliminare del tutto la nostra presenza dalle regioni settentrionali». Il presule
riporta la terribile situazione in Stati come Kordofan meridionale e Nilo azzurro,
dove i cristiani sono discriminati e perfino «chiamati insetti». «In questo momento
la nostra unica certezza è che la Chiesa rimarrà in Sudan e continuerà ad operare,
a dispetto delle enormi sfide che incontrerà sul suo cammino». (R.P.)