Crisi Ue. Draghi: serve un patto per la crescita. Intervista con il prof. Baggio
Sul lato delle politiche di bilancio i Paesi Eurozona hanno fatto progressi, ma ora
serve "un patto per la crescita". L’appello lanciato dal presidente della banca centrale
europea Bce, Mario Draghi, raccoglie consensi in Europa. Intanto Berlino cerca un
asse con Roma. Ce ne parla Laura Serassio:
Dopo il patto
per il rigore di bilancio, serve ora un patto per la crescita: questo il segnale lanciato
a Bruxelles dal Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, che è rassicurante
sulla situazione economica in Europa: nonostante gli ultimi sviluppi più ambigui e
d’incertezza sui mercati, il contesto nei primi tre mesi dell’anno è migliorato, ma
bisogna insistere con le riforme strutturali. Insomma, conclude Draghi, ““siamo ancora
in mezzo al fiume e bisogna dimostrare di non essere impantanati”.La Cancelliera Merkel
si dice d’accordo con lui: “C’è bisogno di crescita, basata su iniziative permanenti,
non congiunturali”. Ma le parole di Draghi piacciono soprattutto a François Hollande,
candidato socialista alla presidenza francese, il cui cavallo di battaglia sui temi
europei nella campagna elettorale è stato proprio l’avanti tutta con le misure per
la crescita. L’ha ribadito oggi: “Il patto di bilancio è incompleto, se sarò eletto
negozierò che il testo sia integrato con la dimensione della crescita”. E cita quattro
punti: eurobond per progetti infrastrutturali, tassa sulle transazioni finanziarie,
potenziamento della Banca europea per gli investimenti e mobilitazione dei fondi comunitari
inutilizzati. Intanto, oggi, il Regno Unito registra il secondo trimestre col segno
negativo, il Pil al -0,2% segna il ritorno alla recessione dopo oltre due anni, facendo
commentare al Premier David Cameron: “Non cerco di trovare scuse, i dati sono molto
deludenti”.
In Europa, il voto francese e la crisi del governo olandese, oltre
alle nuove incertezze politiche in Grecia, Spagna, riaccendono la speculazione sui
mercati finanziari. Con il voto nazionale, i popoli europei sembrano, dunque, prendere
le distanze dal rigore dei conti imposto dall’Unione Europea e dalla Germania, dalle
politiche migratorie ritenute troppo permissive, dalla Banca centrale europea che
finanzia le banche ma non le famiglie colpite, come in Italia, da una gravosa tassazione.
Un malessere che preoccupa fortemente i vertici comunitari. Luca Collodi ne
ha parlato con il politologo Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica
all’Istituto universitario “Sophia” di Loppiano, Firenze:
R. – I voti
abbondanti presi dell’estrema sinistra di Mélenchon e dalla destra di Marine Le Pen
sono stati presi su programmi di difesa: entrambi non vogliono rinunciare alle protezioni
dello Stato sociale e sentono la paura che pervade la società. Qualunque situazione
di incertezza politica che attraversi i governi e i Paesi, viene letta dai mercati
come una possibile indecisione nell’applicazione di misure che sono dei veri e propri
ordini che l’economia sembra imporre alla politica.
D. – Prof. Baggio, chi
ha ragione i mercati o la politica?
R. – Bisognerebbe ristabilire una supremazia
della politica sulla base di una buona economia. Quello che si avverte come esigenza
forte è di passare da un’azione di difesa, di sistemazione dei conti a una politica
– e questo lo può fare soltanto la politica – di crescita e di rilancio. Ecco perché
la possibile vittoria di Hollande in Francia, che andrebbe a spezzare l’asse che si
è creato in questi anni tra Sarkozy e la Merkel, potrebbe essere un’opportunità purché
Hollande non si metta in competizione con la Germania per una supremazia della Francia
in Europa, ma riesca a collegare gli altri Paesi europei su una politica più armonica,
costruendo una nuova unità e sviluppando gli investimenti. Se non c’è crescita in
questa maniera, si va veramente a soffocare. Abbiamo visto che anche in Italia la
politica, pur doverosa del governo Monti, non ha diminuito ma ha accresciuto le differenze
sociali.
D. – E’ anche vero, però, che la riduzione delle risorse pubbliche
sta colpendo in modo particolare gli anziani, i poveri, le famiglie…
D. – La
verità è che si sta affacciando una nuova questione sociale, che dobbiamo affrontare
non più com’è stato fatto oltre un secolo fa ma in termini completamente nuovi. Penso
in questo caso che l’esperienza della Dottrina sociale cristiana abbia qualcosa da
dire: la crisi si affronta anche attraverso una solidarietà nuova, che bisogno costruire
nel quotidiano, giorno per giorno.
D. – Prof. Baggio, i laici cattolici che
cosa stanno facendo? La sensazione è che siano un po’ incerti nel loro procedere,
anche dopo l'incontro di Todi…
R. – C’è un grande lavoro che i laici cattolici
stanno facendo sul piano sociale. Penso che, a livello politico, ci vorrebbe un’ulteriore
maturazione. Nell’attuale governo Monti noi abbiamo dei ministri che sono cattolici,
cattolicissimi anche nell’etichetta, ma questo non deve far pensare che con la presenza
di ministri che sono personalmente di fede cattolica si esaurisca il ruolo dei cattolici
nell’azione politica, anzi potrebbe addirittura diventare controproducente questa
presenza al governo, se così si credesse. Onestamente, credo sia stata persa un’occasione
nel 2005, quando ci fu un grande sforzo dei cattolici come presenza sociale in occasione
del referendum sulla procreazione artificiale. Furono costruite delle reti di intervento,
furono stimolate delle competenze del mondo cattolico e fu fatto per un’azione politica.
Forse allora bisognava non smobilitare, ma mantenere questa rete, potenziarla e questo
come attività propria dei laici, che devono diventare capaci di intervenire non semplicemente
per rispondere a una sollecitazione, a un richiamo della gerarchia, la quale giustamente
interviene perché ne vede il bisogno. Dovrebbe esserci una presenza laicale organizzata
e intelligente, che previene il richiamo della gerarchia e riesce a lavorare in maniera
autonoma.
D. – Oggi è il 25 aprile, Festa della Liberazione della Repubblica
Italiana: che cosa dice questa data al mondo cattolico?
R. – Credo che dovrebbe
stimolare la capacità che i cattolici hanno per natura di creare comunità. Il 25 aprile
ricorda una situazione di guerra, di guerra civile, di divisione… Bisognerebbe, invece,
applicare la nostra capacità di memoria per rivivere quelle vicende e renderci conto
che le nostre stesse divisioni sono una storia comune: renderci conto che esiste un’unità
del Paese. Noi possiamo dare al nostro cuore le cose vissute, le divisioni del passato
davanti ai problemi di oggi, come un’occasione per riconoscere che questa storia è
storia comune, che siamo un Paese, che siamo un popolo. Quello che manca è proprio
il senso del Paese, di avere una prospettiva e un’idea per il futuro.