“La Chiesa è giovane”: sette anni fa, la Messa di inizio Pontificato di Benedetto
XVI
Ricorre oggi il settimo anniversario della Messa di inizio Pontificato di Benedetto
XVI. Celebrazione che, il 24 aprile del 2005, fu seguita da oltre 300 mila persone
in Piazza San Pietro e via della Conciliazione. “La Chiesa è giovane”, affermò il
Papa nell’omelia, “chi crede non è mai solo”. Rievochiamo alcuni passaggi forti di
quell’omelia nel servizio di Alessandro Gisotti:
“Tu es Petrus”,
“Tu sei Pietro”: il popolo di Dio accoglie con gioia il nuovo Pontefice, “l’umile
lavoratore nella vigna del Signore”. La mattina del 24 aprile 2005, Piazza San Pietro
- gremita di fedeli di tutto il mondo - è in festa, ornata da 20 mila fiori. Dalla
Loggia della Basilica vaticana, sotto lo stemma del Pontificato, pende l'arazzo della
pesca miracolosa che raffigura Gesù in dialogo con San Pietro. Benedetto XVI, nella
sua omelia interrotta ben 37 volte dagli applausi, confida subito con quale spirito
si appresti ad intraprendere il ministero di Pastore universale della Chiesa:
“Il
mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire
mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della
volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare
la Chiesa in questa ora della nostra storia”.
Il Papa ha parole di speranza,
incoraggia ad avere fiducia nel futuro, perché, sottolinea, “chi crede non è mai solo,
non lo è nella vita e neanche nella morte”. Una speranza che nasce dalla certezza
nel Risorto. Cristo è vivo e così la sua Chiesa:
“Sì, la Chiesa è viva -
questa è la meravigliosa esperienza di questi giorni. Proprio nei tristi giorni della
malattia e della morte del Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri
occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del
mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro”.
Benedetto
XVI si sofferma sul suo ministero di pastore, chiamato a cercare le pecorelle smarrite
nei tanti deserti della nostra umanità. Deserti di solitudine, di abbandono, di amore
distrutto. “La santa inquietudine di Cristo – afferma il Papa – deve animare il pastore”.
Ma per fare questo, non bastano le sole forze umane:
“Pregate per me, perché
io impari ad amare sempre più il suo gregge – voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi
singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura,
davanti ai lupi”.
“Chi fa entrare Cristo” nella propria vita, ribadisce,
non perde nulla. Anzi, solo nell’amicizia con Gesù “si dischiudono realmente le grandi
potenzialità della condizione umana”. Infine, nel solco tracciato dal suo amato predecessore,
rivolge un pensiero speciale ai giovani:
“Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo
ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande
convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari
giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si
dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete
la vera vita”.