Economia: dopo il "lunedì nero", le Borse europee in risalita
Rimbalzo delle Borse europee, in salita oggi, dopo che ieri hanno bruciato 160 miliardi
di euro. Un segnale di instabilità per tutti i mercati dell’area euro che continuano,
dunque, a fare i conti con la crisi economica. E c’è chi vede nel tonfo di ieri una
reazione al primo turno delle presidenziali in Francia, vinte da François Hollande,
mentre altri economisti trovano la responsabilità di quanto accaduto, nella crisi
politica in atto in Olanda. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Gianfranco
Viesti,docente di Economia Applicata presso l’Università di Bari:
R. - L’andamento
altalenante delle Borse e degli spread sui tassi di interesse, ha due cause di fondo:
la prima è che tutti vedono come l’Europa sia incapace di dare una soluzione al problema
e, quindi, questo periodo di incertezza rischia di permanere a lungo, perché l’incertezza
provoca grandi scombussolamenti giorno dopo giorno. La seconda causa, che è alla base
della precedente, è che gli operatori vedono che le economie europee si sono fermate
e non danno nessuna prospettiva di ripresa. Dunque, anche se si mettono in atto manovre
sempre più forti sui conti pubblici, queste rischiano di essere totalmente inefficaci
perché cade l’andamento economico. E quindi i mercati sono molto preoccupati della
sostenibilità dei Paesi, non perché i Paesi stiano facendo l’austerità, ma perché
stanno facendo solo l’austerità senza la crescita.
D. - Le instabilità politiche
hanno sempre avuto delle ricadute sull’economia. In questo momento però, sembra che
gli effetti siano più deflagranti, perché?
R. - La causa prima è l’economia
che mette in difficoltà la politica. È quello che è successo in Grecia, in Italia,
in Spagna e in Olanda, e cioè la decisione di puntare esclusivamente su tagli alla
spesa e aumenti delle tasse in tutti i Paesi europei. Questa è una decisione difficilmente
sostenibile politicamente, oltre certi limiti, proprio per la sua dimensione: non
si può chiedere all’elettorato di sostenere i costi di una crisi di cui non ha responsabilità,
e di cui soprattutto, non si vede la fine. La cosa più preoccupante è che questo possa
portare - come abbiamo visto in Francia - una parte dell’elettorato europeo a puntare
verso forze politiche estreme, anti-europeiste e protezioniste. In questo caso la
difficoltà economica potrebbe produrre un risultato ancora più brutto, e cioè, uno
sconquasso nei governi e nelle democrazie dei nostri Paesi.
D. - L’Europa nasce
su un concetto chiaro: la fraternità e unità tra i popoli che vivono nel Vecchio continente,
niente a che fare, insomma, con l’economia. Può essere questo il motivo che ha favorito
poi la crisi in atto, anche dal punto di vista istituzionale?
R. - E' vero
che fino ad un certo punto non ha niente a che fare con l’economia, perché la fraternità
e la solidarietà sono concetti etici fondamentali, che purtroppo in Europa, abbiamo
dimenticato. Abbiamo abbandonato i greci in una maniera totalmente lontana dalla tradizione
culturale e civile dell’Europa, ma la solidarietà è un forte concetto economico. L’Europa
è cresciuta in questi decenni perché è stata unita, perché il bene degli uni diventa
anche il bene degli altri. Noi siamo usciti dal Medioevo economico tra fine Settecento
e inizio Ottocento, quando abbiamo iniziato a capire che la collaborazione economica
tra Stati, portava più progresso che la guerra economica tra gli Stati. È questo che
ci manca oggi. Siamo tornati ad un periodo nel quale la politica è incapace di dire
chiaramente ai cittadini, agli elettori, alle imprese, ai mercati che l’Europa o si
salva tutta insieme, o non si salva. Dunque quello che succede in Spagna, in Grecia,
in Olanda, in Irlanda, non è questione solo dei cittadini di quei Paesi, ma è questione
di tutti gli europei.