La bellezza dell'arte per rieducare al senso del sacro. Intervista con mons. Vasil
In un’epoca di forte scristianizzazione, specie in Occidente, in che modo l’arte a
tema religioso può rieducare al senso del sacro? Il tema è da questa mattina oggetto
di dibattito al Pontificio Istituto Orientale, che ospita il Convegno internazionale
dal titolo “Iconostasi e Liturgia Celeste”. Ad aprire e concludere i lavori è mons.
Cyril Vasil’, segretario della Congregazione per le Chiese Orientali. Alessandro
De Carolis lo ha intervistato:
R. - La bellezza,
come espressione della presenza di Dio, mi sembra possa essere utilizzata anche nel
mondo di oggi, perché la gioia, la bellezza e il decoro già mille anni fa hanno commosso
i popoli pagani, spingendoli ad abbandonare il culto pagano e ad accettare il messaggio
di Dio che abita in mezzo agli uomini. Anche oggi, all’inizio del terzo millennio,
le persone cercano gioia e bellezza. Ma esse non si possono percepire rimanendo nell’ambito
del vecchio o nuovo paganesimo. Per le persone di oggi, sfiduciate da mille proposte
del libero mercato delle idee, il decoro è anche la profonda e mistica bellezza delle
celebrazioni liturgiche del tempo sacro, dello spazio sacro. La liturgia, l’edificio
del culto possono diventare un impulso alla profonda ricerca della verità della loro
vita, la ricerca che li condurrà a Colui che è la Via, la Verità, la Vita.
D.
- C’è oggi, secondo lei, una difficoltà a decifrare l’arte sacra contemporanea rispetto
ai canoni classici che caratterizzavano quella del passato?
R. - Se parliamo
dell’arte, parliamo di un linguaggio. La difficoltà di oggi sta proprio nella frammentazione
del linguaggio e nell’incapacità di avere una chiave di lettura unica. Quello che
invece offre anche la tradizione dell’oriente cristiano è proprio la capacità di parlare
attraverso un linguaggio comprensibile al cultore. Quando si trova una “soggettivizzazione”
dell’espressione, sia linguistica che artistica, ciò diventa un ostacolo alla comunicazione:
diventa un’auto-comunicazione e non una comunicazione delle verità oggettive. In questo
senso, quando si parla della sacralità espressa nelle liturgie orientali, si tratta
di un linguaggio che si è sviluppato nell’arco dei secoli, ma che viene spiegato attraverso
la catechesi liturgica, attraverso la vita della Chiesa e diventa così strumento vettore
di una verità.
D. - Il vostro Convegno rappresenta l’inizio di un percorso:
in che modo pensate di proseguirlo?
R. - Intanto, questo convegno si colloca
nell’ambito della Chiesa italo-albanese, che da secoli rappresenta un polmone orientale
in terra italiana. Si apre qui, al Pontificio Istituto Orientale, che è la casa degli
studi superiori qui a Roma voluto dai Pontefici, e proseguirà poi il 6 e 7 luglio
nella Piana degli Albanesi in Sicilia e alla fine di agosto nelle parrocchie di Lungro
in Calabria. Attraverso questa continuazione, in fondo, si ripercorrono vari luoghi
dove la presenza degli orientali è significativa sia per l’aspetto storico - come
può essere quello delle migrazioni che hanno toccato nei secoli precedenti l’Italia
e hanno portato qui ad una radicazione del rito orientale - sia attraverso Roma, che
in fondo nella sua specificità rappresenta l’intero universo, l’intera ecumene. Il
Pontificio Istituto Orientale è il luogo dell’incontro tra Oriente cattolico, Oriente
ortodosso e la Chiesa latina.