Vescovi siciliani: allarme corruzione e povertà. Mons Pennisi: "La politica ascolti
il grido della gente"
Criminalità e malaffare, clientelismo e sperpero di denaro pubblico: in Sicilia la
situazione politico-amministrativa è preoccupante, mentre l’economia è ferma. Questo,
il grido d’allarme lanciato dai vescovi siciliani al termine della sessione primaverile
della Conferenza episcopale regionale che chiede alla classe dirigente locale e nazionale
altri atteggiamenti e altre scelte. Al microfono di Gabriella Ceraso, la testimonianza
di questo difficile momento nelle parole di mons. Michele Pennisi, vescovo
di Piazza Armerina:
R. – Dobbiamo
constatare amaramente che si sta diffondendo un clima di anti-politica che certamente
non giova alla democrazia. Soprattutto per i giovani siamo preoccupati, sia perché
con questo clima di sfiducia spesso non vogliono impegnarsi nel campo sociale né nel
campo politico, e sia perché molti di questi giovani sono disoccupati.
D. –
E’ necessario contrastare l’anti-politica anche per il capo dello Stato: Napolitano
ha ricordato quanto sia importante additare ai giovani esempi positivi. Voi avete
parlato di don Luigi Sturzo nei vostri lavori: è questo un esempio positivo da consegnare
alle giovani generazioni?
R. – Don Sturzo, di fronte alla corruzione della
vita pubblica del suo tempo, non si rifugiò in sacrestia, non considerò la politica
una cosa sporca ma si impegnò rischiando di persona attraverso il rilancio del movimento
cattolico, attraverso una profonda riforma morale fondata sull’educazione delle nuove
generazioni. Sturzo concepì la politica come atto di amore al servizio del bene comune
e questo mi pare che sia di una grandissima attualità. Quindi è importante indicare
questi esempi. Ma ci sono tanti altri esempi, tanti parroci, tanti laici e questo
ci fa sperare in un futuro che nella società civile e nei gruppi ecclesiali possa
trovare dei punti di forza.
D. – Il vostro sguardo si sofferma in maniera molto
dettagliata sugli aspetti socio-economici. Voi dite: la crisi attuale richiederebbe
altri atteggiamenti da parte della classe dirigente. Quali le priorità?
R.
– Innanzitutto, c’è il problema di venire incontro all’emergenza lavoro non moltiplicando
gli impieghi pubblici ma cercando, attraverso una serie di iniziative, di microcredito,
di sostegno all’economia, di far sì che si possa diffondere una cultura imprenditoriale.
La seconda emergenza collegata a questa è l’emergenza povertà. L’agricoltura è in
crisi per la concorrenza dei prodotti dell’Africa del Nord, e poi mancano le necessarie
infrastrutture: questo contribuisce negativamente anche allo sviluppo del turismo.
E’ importante qiuindi, sia da parte del governo nazionale sia da parte del governo
regionale, un’attenzione al grido che parte dalla nostra gente, che renda la Sicilia
una regione come le altre.
D. – Nel 2011 sono fallite, nella regione, 601 aziende.
A chi riuscite a stare a fianco?
R. – C’è un progetto-povertà che è fatto in
collaborazione con i comuni e con la Regione; poi c’è un progetto di micro-credito,
per esempio a Gela, dove sono stati annunciati 500 cassaintegrati, la nostra diocesi
vuole attivare un fondo di solidarietà risparmiando anche sugli aspetti esteriori
di alcune feste religiose.
D. – Questa crisi sta ridimensionando i rapporti,
il modo di pensare della gente o sta solo portando ad un declino del Paese?
R.
– Io dico questo: da una parte, ci sono elementi che potrebbero sfociare in una rivolta
sociale; dall’altra parte, però, ci sono reazioni positive. Per esempio, a Piazza
Armerina siamo riusciti a mettere insieme 17 enti ed associazioni per un progetto
di sviluppo del territorio. Quindi, ci sono anche segni di speranza; questi segni
di speranza devono trovare nelle nostre popolazioni meridionali i protagonisti di
un riscatto.