2012-04-21 14:03:38

No alla violenza: così, il nunzio in Bahrain sugli scontri alla vigilia del Gp di Formula 1


In Bahrain, sale la tensione alla vigilia del Gran Premio di automobilismo per le proteste antigovernative del “Movimento 14 febbraio”. Secondo Wefaq, il principale gruppo dissidente, un uomo è stato ucciso nei pressi del villagigo di Shukhura, vicino alla capitale Manama, negli scontri tra manifestanti e polizia, nella notte. Il nunzio apostolico nel Paese mons. Petar Rajic fa appello alla pace, condanna ogni violenza e chiede che sia avviato un dialogo tra le parti. I bolidi di Formula 1 continuano, dunque, a prepararsi alla competizione di domani tra manifestazioni, proteste di piazza con scontri e lanci di molotov, che si registrano in diverse città del Paese. Il movimento anti-Khalifa, nato un anno fa nell’ambito della "primavera araba", ribadisce le violazioni dei diritti umani da parte dei regnanti, chiede la liberazione dell'attivista Abdulhadi al-Khawaja, in sciopero della fame da oltre 70 giorni, e denuncia l'arresto di quasi un centinaio di dissidenti in un anno. Il Gp di Formula 1 – sostengono – svia l’attenzione dalla realtà del Paese dove la libertà di espressione e dissenso è schiacciata senza mezzi termini. La Fia, la Federazione Internazionale Automobilismo, per ora, fa sapere che la sicurezza dell'evento non è in questione, e che l'edizione 2012 nella capitale Manama non verrà cancellata come quella precedente, dopo che le violenze nell'arcipelago avevano provocato la morte di oltre 30 persone. Anche il principe Salman ben Hamad ben Isa Al Jalifa in conferenza stampa, ieri, ha assicurato che la gara si correrà regolarmente. "Un annullamento rinforzerebbe solo gli estremisti", ha ribadito precisando che il Gran Premio, “è qualcosa di positivo per la nazione, non qualcosa che la divide". In questo scenario "Anonymous", gli hacker della rete, hanno paralizzato il sito web del Gran Premio chiedendo l’intervento della Comunità internazonale. "Per un anno - si legge in sintesi - il popolo del Bahrain ha lottato contro il regime oppressivo del re Hamad bin Al Khalifa che trarrà profitto dalla competizione continuando a punire interi villaggi in dissenso".

"La violenza non deve prevalere": ribadisce il nunzio apostolico del Bahrain, mons Petar Rajic. Massimiliano Menichetti ha raccolto il suo appello:RealAudioMP3

R. - Vogliamo senz’altro lanciare un appello in favore della pace e contro la violenza, in tutte le circostanze. Vorremmo richiamare al dialogo le varie parti del Paese, per mantenere l’ordine, la pace ed il mutuo rispetto per tutti.

D. - Una situazione che rischia di degenerare pesantemente, ma che origine hanno queste contestazioni?

R. – Sono eventi che continuano già da tempo, che sono anche precedenti alla “primavera araba” ma che comunque, ultimamente, si sono intensificate. Le proteste sono una reazione del popolo sciita che rappresenta la maggioranza della popolazione del piccolo Stato di Bahrain. Questo Stato è composto, per la maggior parte, dai due rami musulmani: quello sciita e quello sunnita, e quest’ultimo è al potere. In questo contesto, gli sciiti stanno cercando di avere più voce in parlamento, come anche nella società, nella cultura e nella vita del Paese. Si tratta di una realtà che ha avuto dei limiti in passato, specialmente nelle ultime elezioni.

D. – Chi contesta il governo dice che un anno fa vennero uccise 30 persone nelle proteste di piazza e che, oggi, la repressione continua. E’ così?

R. – Ci sono dei controlli da parte della polizia, proprio perché la situazione non si è calmata del tutto, anche se non è ad un livello così intenso come quello dello scorso anno, con tutta quella violenza. Ci vuole, innanzitutto, più calma ed anche più tempo, per poter indagare meglio i motivi che sono alla base delle continue proteste e per capire chi è che istiga queste persone alla violenza e ad andare avanti per questa strada.

D. – Il pugno di ferro utilizzato un anno fa dal re, per reprimere le proteste, è stato anche riconosciuto da una Commissione a livello internazionale. Gli oppositori, però, dicono che non si risolve così il problema…

R. – Il re ha accettato l’indagine. Quest’atto si è rivelato un buon segno di apertura verso il mondo, e sono state accettate anche le conclusioni di questa Commissione, che hanno accertato l’uso eccessivo della violenza da parte della polizia e dell’esercito nei confronti dei manifestanti. Adesso stanno cercando di rimediare a questa situazione, che risulta però ancora alquanto complessa, perché ci sono persone che continuano a protestare. Si continua a manifestare perché non ci sono state delle vere riforme, però prima di tutto c’è bisogno di calma.

D. – In questo scenario, come vivono i cristiani?

R. – I cattolici presenti nel Paese sono circa 80 mila, si trovano bene e non sono coinvolti in queste vicende. Finora, grazie a Dio, non hanno avvertito alcuna pressione o difficoltà. Sono apprezzati nella società.

D. – Qual è il ruolo della Chiesa e dei cristiani in questa situazione?

R. – Il ruolo è innanzitutto quello di dare la propria testimonianza. Il cristianesimo ci insegna proprio questo, ossia di essere persone che credono in Dio: Dio è creatore, è vivo, è un Dio della pace che ha riconciliato l’umanità con sé, e ci ha anche incaricato di andare nel mondo a cercare la pace e la riconciliazione tra i vari popoli. In questo senso, quindi, diamo una bella testimonianza, nel pieno rispetto delle diversità e delle differenze che esistono tra noi.







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