No alla violenza: così, il nunzio in Bahrain sugli scontri alla vigilia del Gp di
Formula 1
In Bahrain, sale la tensione alla vigilia del Gran Premio di automobilismo per le
proteste antigovernative del “Movimento 14 febbraio”. Secondo Wefaq, il principale
gruppo dissidente, un uomo è stato ucciso nei pressi del villagigo di Shukhura, vicino
alla capitale Manama, negli scontri tra manifestanti e polizia, nella notte. Il nunzio
apostolico nel Paese mons. Petar Rajic fa appello alla pace, condanna ogni violenza
e chiede che sia avviato un dialogo tra le parti. I bolidi di Formula 1 continuano,
dunque, a prepararsi alla competizione di domani tra manifestazioni, proteste di piazza
con scontri e lanci di molotov, che si registrano in diverse città del Paese. Il movimento
anti-Khalifa, nato un anno fa nell’ambito della "primavera araba", ribadisce le violazioni
dei diritti umani da parte dei regnanti, chiede la liberazione dell'attivista Abdulhadi
al-Khawaja, in sciopero della fame da oltre 70 giorni, e denuncia l'arresto di quasi
un centinaio di dissidenti in un anno. Il Gp di Formula 1 – sostengono – svia l’attenzione
dalla realtà del Paese dove la libertà di espressione e dissenso è schiacciata senza
mezzi termini. La Fia, la Federazione Internazionale Automobilismo, per ora, fa sapere
che la sicurezza dell'evento non è in questione, e che l'edizione 2012 nella capitale
Manama non verrà cancellata come quella precedente, dopo che le violenze nell'arcipelago
avevano provocato la morte di oltre 30 persone. Anche il principe Salman ben Hamad
ben Isa Al Jalifa in conferenza stampa, ieri, ha assicurato che la gara si correrà
regolarmente. "Un annullamento rinforzerebbe solo gli estremisti", ha ribadito precisando
che il Gran Premio, “è qualcosa di positivo per la nazione, non qualcosa che la divide".
In questo scenario "Anonymous", gli hacker della rete, hanno paralizzato il sito web
del Gran Premio chiedendo l’intervento della Comunità internazonale. "Per un anno
- si legge in sintesi - il popolo del Bahrain ha lottato contro il regime oppressivo
del re Hamad bin Al Khalifa che trarrà profitto dalla competizione continuando a punire
interi villaggi in dissenso".
"La violenza non deve prevalere": ribadisce il
nunzio apostolico del Bahrain, mons Petar Rajic. Massimiliano Menichetti
ha raccolto il suo appello:
R. - Vogliamo
senz’altro lanciare un appello in favore della pace e contro la violenza, in tutte
le circostanze. Vorremmo richiamare al dialogo le varie parti del Paese, per mantenere
l’ordine, la pace ed il mutuo rispetto per tutti.
D. - Una situazione che
rischia di degenerare pesantemente, ma che origine hanno queste contestazioni?
R.
– Sono eventi che continuano già da tempo, che sono anche precedenti alla “primavera
araba” ma che comunque, ultimamente, si sono intensificate. Le proteste sono una reazione
del popolo sciita che rappresenta la maggioranza della popolazione del piccolo Stato
di Bahrain. Questo Stato è composto, per la maggior parte, dai due rami musulmani:
quello sciita e quello sunnita, e quest’ultimo è al potere. In questo contesto, gli
sciiti stanno cercando di avere più voce in parlamento, come anche nella società,
nella cultura e nella vita del Paese. Si tratta di una realtà che ha avuto dei limiti
in passato, specialmente nelle ultime elezioni.
D. – Chi contesta il governo
dice che un anno fa vennero uccise 30 persone nelle proteste di piazza e che, oggi,
la repressione continua. E’ così?
R. – Ci sono dei controlli da parte della
polizia, proprio perché la situazione non si è calmata del tutto, anche se non è ad
un livello così intenso come quello dello scorso anno, con tutta quella violenza.
Ci vuole, innanzitutto, più calma ed anche più tempo, per poter indagare meglio i
motivi che sono alla base delle continue proteste e per capire chi è che istiga queste
persone alla violenza e ad andare avanti per questa strada.
D. – Il pugno di
ferro utilizzato un anno fa dal re, per reprimere le proteste, è stato anche riconosciuto
da una Commissione a livello internazionale. Gli oppositori, però, dicono che non
si risolve così il problema…
R. – Il re ha accettato l’indagine. Quest’atto
si è rivelato un buon segno di apertura verso il mondo, e sono state accettate anche
le conclusioni di questa Commissione, che hanno accertato l’uso eccessivo della violenza
da parte della polizia e dell’esercito nei confronti dei manifestanti. Adesso stanno
cercando di rimediare a questa situazione, che risulta però ancora alquanto complessa,
perché ci sono persone che continuano a protestare. Si continua a manifestare perché
non ci sono state delle vere riforme, però prima di tutto c’è bisogno di calma.
D.
– In questo scenario, come vivono i cristiani?
R. – I cattolici presenti nel
Paese sono circa 80 mila, si trovano bene e non sono coinvolti in queste vicende.
Finora, grazie a Dio, non hanno avvertito alcuna pressione o difficoltà. Sono apprezzati
nella società.
D. – Qual è il ruolo della Chiesa e dei cristiani in questa
situazione?
R. – Il ruolo è innanzitutto quello di dare la propria testimonianza.
Il cristianesimo ci insegna proprio questo, ossia di essere persone che credono in
Dio: Dio è creatore, è vivo, è un Dio della pace che ha riconciliato l’umanità con
sé, e ci ha anche incaricato di andare nel mondo a cercare la pace e la riconciliazione
tra i vari popoli. In questo senso, quindi, diamo una bella testimonianza, nel pieno
rispetto delle diversità e delle differenze che esistono tra noi.