Ancora disordini in Bahrain. Il nunzio chede la fine delle violenze
In Bahrain, sale la tensione alla vigilia del Gran Premio di Formula 1. Nel pomeriggio
sono avvenuti nuovi scontri durante una manifestazione di protesta. La polizia ha
sparato gas lacrimogeni, dimostranti hanno lanciato molotov. Nella notte, un civile
è morto durante scontri scoppiati non lontano dalla capitale Manama. “La violenza
non deve prevalere”. Così il nunzio apostolico del Bahrein, mons Petar Rajic,
sulle violenze che stanno scuotendo il Paese. Massimiliano Menichetti lo ha
intervistato: R. - Vogliamo
senz’altro lanciare un appello in favore della pace e contro la violenza, in tutte
le circostanze. Vorremmo richiamare al dialogo le varie parti del Paese, per mantenere
l’ordine, la pace ed il mutuo rispetto per tutti. D. - Una situazione che rischia
di degenerare pesantemente, ma che origine hanno queste contestazioni? R. – Sono
eventi che continuano già da tempo, che sono anche precedenti alla “primavera araba”
ma che comunque, ultimamente, si sono intensificate. Le proteste sono una reazione
del popolo sciita che rappresenta la maggioranza della popolazione del piccolo Stato
di Bahrain. Questo Stato è composto, per la maggior parte, dai due rami musulmani:
quello sciita e quello sunnita, e quest’ultimo è al potere. In questo contesto, gli
sciiti stanno cercando di avere più voce in parlamento, come anche nella società,
nella cultura e nella vita del Paese. Si tratta di una realtà che ha avuto dei limiti
in passato, specialmente nelle ultime elezioni. D. – Chi contesta il governo dice
che un anno fa vennero uccise 30 persone nelle proteste di piazza e che, oggi, la
repressione continua. E’ così? R. – Ci sono dei controlli da parte della polizia,
proprio perché la situazione non si è calmata del tutto, anche se non è ad un livello
così intenso come quello dello scorso anno, con tutta quella violenza. Ci vuole, innanzitutto,
più calma ed anche più tempo, per poter indagare meglio i motivi che sono alla base
delle continue proteste e per capire chi è che istiga queste persone alla violenza
e ad andare avanti per questa strada. D. – Il pugno di ferro utilizzato un anno
fa dal re, per reprimere le proteste, è stato anche riconosciuto da una Commissione
a livello internazionale. Gli oppositori, però, dicono che non si risolve così il
problema… R. – Il re ha accettato l’indagine. Quest’atto si è rivelato un buon
segno di apertura verso il mondo, e sono state accettate anche le conclusioni di questa
Commissione, che hanno accertato l’uso eccessivo della violenza da parte della polizia
e dell’esercito nei confronti dei manifestanti. Adesso stanno cercando di rimediare
a questa situazione, che risulta però ancora alquanto complessa, perché ci sono persone
che continuano a protestare. Si continua a manifestare perché non ci sono state delle
vere riforme, però prima di tutto c’è bisogno di calma. D. – In questo scenario,
come vivono i cristiani? R. – I cattolici presenti nel Paese sono circa 80 mila,
si trovano bene e non sono coinvolti in queste vicende. Finora, grazie a Dio, non
hanno avvertito alcuna pressione o difficoltà. Sono apprezzati nella società. D.
– Qual è il ruolo della Chiesa e dei cristiani in questa situazione? R. – Il ruolo
è innanzitutto quello di dare la propria testimonianza. Il cristianesimo ci insegna
proprio questo, ossia di essere persone che credono in Dio: Dio è creatore, è vivo,
è un Dio della pace che ha riconciliato l’umanità con sé, e ci ha anche incaricato
di andare nel mondo a cercare la pace e la riconciliazione tra i vari popoli. In questo
senso, quindi, diamo una bella testimonianza, nel pieno rispetto delle diversità e
delle differenze che esistono tra noi.