Guinea Bissau: le organizzazioni regionali condannano la giunta militare
Le organizzazioni internazionali africane non riconoscono la giunta militare che ha
preso il potere in Guinea Bissau e chiedono il ripristino immediato dell’ordine costituzionale.
Ieri i militari golpisti hanno annunciato la creazione di un Consiglio nazionale di
transizione e la nomina di un presidente pro tempore. Il servizio di Stefano Leszczynski:
La Comunità
economica degli Stati dell'Africa occidentale (Ecowas) non cede di fronte alla giunta
militare che ha preso il potere con un golpe il 12 aprile scorso. Al pari della altre
istituzioni internazionali africane, e cioè l’Unione africana e la Comunità dei Paesi
di lingua portoghese, l’Ecowas ha duramente condannato l'instaurazione di un ''sedicente
Consiglio nazionale di transizione'' in Guinea Bissau, denunciando ''l'usurpazione
di potere da parte del comando militare''. ''La commissione dell'Ecowas rigetta quest'usurpazione
di potere da parte del comando militare e fa sapere che non riconoscerà mai alcuna
transizione emanata dalla giunta''. E' di ieri la firma dell'accordo tra la giunta
militare e i principali partiti di opposizione guineana per attuare un periodo di
transizione di due anni, al termine del quale organizzare elezioni generali. Presidente
di transizione designato dai militari è Manuel Serifo Nhamadjo, candidato per le presidenziali,
ma eliminato al primo turno. Intanto, è atteso per lunedì l’arrivo nel Paese africano
di un contingente militare internazionale che andrà ad aggiungersi a quello angolano
già presente in Guinea Bissau, con l’obiettivo di favorire il ritorno ad una situazione
di legalità e portare il Paese verso le il secondo turno delle presidenziali già programmate
per il 29 aprile.
Sulla fermezza delle organizzazioni internazionali e regionali
africane nei confronti delle recenti crisi continentali, Stefano Leszczynski
ha intervistato Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle istituzioni
africane presso l’Università di Torino:
R. - Sicuramente
l’atteggiamento che le Organizzazioni regionali e l’Unione Africana assumono, da qualche
tempo, nei confronti degli attentati alla democrazia rappresnta un dato positivo e
si spera una svolta definitiva nei confronti di chi in Africa - e purtroppo sono ancora
molti i casi - attenta alla democrazia, mostrando nei confronti della gestione della
cosa pubblica un atteggiamento - a dir poco - disinvolto. Quest’atteggiamento delle
Organizzazioni regionali e dell’Unione Africana, che sta effettivamente incidendo
sul modo in cui poi si risolvono alcune crisi o si imposta la soluzione di alcune
crisi, è una novità che il mondo deve accogliere con soddisfazione e - se possibile
- incoraggiare.
D. - Suscita, comunque, qualche tipo di timore il fatto che
spesso le Organizzazioni regionali africane dimostrino un certo desiderio d’interventismo…
R.
- D’altra parte, in certi casi, un intervento esterno armato militare può essere l’unica
soluzione. L’Africa è il continente, dove si raccoglie il maggior numero di interventi
delle Nazioni Unite a scopo di peacekeeping: direi anzi che, se d’ora in poi, le Organizzazioni
regionali e l’Unione Africana riusciranno a sostituirsi alle Nazioni Unite quando
si tratta di un intervento militare che appare inevitabile a fronte dell’incapacità
delle forze in conflitto in un Paese di trovare una soluzione, anche questo mi sembrerebbe
un passo avanti da rilevare e da incoraggiare.
D. - Si può dire che da un
po’ di anni le crisi, i grandi stravolgimenti nei Paesi africani sono molto ridotti.
Questo, secondo lei, a cosa è dovuto: a una presa di coscienza da parte dei governanti
dei singoli Stati o è anche legato al fatto che l’Africa sta conoscendo economicamente
un periodo di forte crescita?
R. - Per me lo scenario africano è ancora uno
scenario molto, molto critico. E’ vero che sono diminuiti i conflitti e i colpi di
Stato, anche se poi negli ultimi tempi questa tendenza si è un po’ invertita, ma ci
sono poi attentati alla democrazia più subdoli e meno evidenti, che sono però altrettanto
sostanziali: mi riferisco a quando un confronto elettorale viene completamente stravolto
dai brogli, dalle intimidazioni, perdendo quindi ogni valore. Però, in effetti, dei
piccoli grandi segni di cambiamento in una serie di Stati - proprio nel momento critico
dell’avvicendamento al potere - fanno ben pensare nel senso di una evoluzione, magari
lenta, magari anche dei passi indietro, ma comunque positiva verso una reale democrazia.
Penso al Malawi, dove l’improvvisa morte del presidente Bingu wa Mutharika avrebbe
potuto scatenare una crisi politica e si è invece realizzata una transizione del tutto
indolore con l’assunzione - come la Costituzione d’altra parte prevedeva - della presidenza
da parte del vicepresidente. Il che, tra l’altro, ha fatto sì che una seconda donna
sia diventata capo di Stato in Africa: mi riferisco a Joyce Banda, che da pochi giorni
è presidente ad interim del Malawi.