Un problema reale e serio quello dei matrimoni forzati in Italia
Un progetto sperimentale volto alla comprensione, all’analisi e alla sensibilizzazione
sul tema dei matrimoni forzati in Italia, a tutela della libertà delle ragazze immigrate
di “seconda generazione ” di autodeterminare le proprie scelte di vita. Questo è “Se
mi sposo è per amore” presentato oggi a Roma e gestito da "Action Aid", Organizazzione
non governativa attiva nel mondo in difesa dei diritti umani e dall’associazione
interculturale "Trama di Terre". Ce ne parla Gabriella Ceraso:
E’ invisibile,
non esiste una statistica che ne quantifichi l’incidenza, ma la pratica dei matrimoni
forzati in Italia è un problema reale e serio. L’indagine più recente si ferma al
2008, raccoglie 33 testimonianze nella sola Emilia Romagna tra giovani marocchine,
pakistane, indiane e a firmarla è “Trame di Terre”, e la prassi si ripete. Sono ragazze
destinate a parenti, per motivi per lo più patrimoniali, portate via per un matrimonio
forzato con l’inganno, violentate fisicamente e ricattate emotivamente e culturalmente,
e se prive di cittadinanza, anche impossibilitate a tornare in Italia. La prospettiva
è di un aumento del fenomeno nel tempo, anche se è sbagliato criminalizzare culture,
comunità e tradizioni, come spiega Tiziana del Pra, presidente dell’associazione
“Trame di Terre”:
“Certo che non è la norma! Ci sono famiglie meravigliose
che portano le figlie a scuola, che le lasceranno vivere la loro vita. Però c’è una
fetta rilevante di alcune nazionalità che hanno questo tipo di problema di controllo
della vita delle donne. In questo momento abbiamo solo i casi che incontriamo o che,
sfortunatamente, arrivano alla cronaca. C’è, però, tutto questo sommerso, per cui
bisognerebbe lavorare tantissimo nelle scuole, nei consultori, nei luoghi di aggregazione
e poi nei Protocolli di intesa”.
A tutto ciò mira il progetto presentato
oggi e articolato in tre assi portanti: l’informazione – dunque la sensibilizzazione
–, il dialogo politico e la nascita di un network, come spiega Sofia Maroudia,
portavoce “Action Aid Italia”:
“Quello che vogliamo fare, sia a livello
nazionale sia a livello internazionale è creare una rete di persone che si occupino
di questo tema in modo tale che possano condividere le loro ‘best practices’ e anche
creare nuovi tipi di formazione e approcci per risolvere questo problema”.
A
dare,per ora, l’allarme sul territorio sono le scuole o i centri di formazione in
cui le ragazze improvvisamente non fanno ritorno; o ancora sindaci particolarmente
sensibili, che hanno fatto dell’integrazione un'effettiva priorità. E’ il caso di
Raol Douli, primo cittadino di Novellara (Reggio Emilia), 14 mila abitanti,
in cui convivono 50 nazionalità, e che è diventato punto di riferimento per molte
giovani immigrate:
“E’ proprio quella prima fase, il confronto culturale,
che poi fa in modo che anche queste ragazze possano avere fiducia nel sindaco, nelle
istituzioni nel momento del bisogno!”.