Tessera dei giornalisti "ad honorem" a padre Gamba, missionario in Malawi
Ha ricevuto ieri la tessera ad honorem dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia
padre Piergiorgio Gamba, missionario monfortano bergamasco, da 38 anni in Malawi.
Qui ha creato un gruppo editoriale, la “Monfort Media”, che comprende giornali e riviste
in lingua locale e in inglese, oltre a una emittente televisiva. Nell’intervista di
Gina Maradei, padre Gamba parla di “grande responsabilità” riferendosi al suo
impegno in favore della libertà di informazione, in un Paese in cui fa fatica a emergere
una coscienza civile:
R. – È stata
una scoperta anche per noi la forza dei mezzi di comunicazione sociali. Mettere in
comunicazione e in comunione lo spirito del dialogo e della partecipazione africana
con i mezzi di comunicazione sociali diventa la sfida di questi anni. La capanna più
umile e più persa nella foresta ha spesso un cellulare. I media riescono a cambiare
la realtà sociale. In questo senso, non sarebbe un’"invasione" dell’Africa, ma un
dare forza alla partecipazione africana.
D. – Mi racconta com’è nato il gruppo
editoriale “Montfort Media” e soprattutto a chi si rivolge? In Malawi il tasso di
analfabetismo è elevato…
R. – È cresciuto passo a passo. Dall’esperienza della
dittatura, da questo desiderio comunque di una libertà che potesse crescere, lentamente
ha preso forma ciò che è diventata ora la “Montfort Media”, che è arrivata ad avere
una tipografia con quaranta persone che vi lavorano, dei giornalisti, fino alla produzione,
fino alla stampa a colori. Dal foglio stampato con il ciclostile, a un giornale in
lingua locale, a delle riviste che vengono stampate in inglese proprio per raggiungere
chi, nella società, fa le scelte più importanti. Poi, la nostra ultima produzione:
abbiamo una televisione che raggiunge oltre la metà del Paese e tenta di espandersi
all’intero Paese, un Paese dove l’analfabetismo è ancora molto alto, si cerca di raggiungere
ognuno con i vari mezzi.
D. – Immagino ci sia ancora tanto da fare…
R.
– Con tanto entusiasmo. Ci rendiamo veramente conto che siamo in Africa per imparare,
per ascoltare. L’Africa ha qualcosa da insegnarci, perché sta vivendo l’esperienza
di aver ricevuto una democrazia che non è africana. Perché l’Africa parla di violenza,
perché l’Africa parla di colpi di Stato? Perché questa democrazia che abbiamo esportato
con la pretesa di imporla, deve diventare “africana”, deve diventare un prodotto locale,
deve assumere non solo la parvenza, i colori, ma proprio l’anima locale. Allora si
potrà parlare di una vera democrazia. Ciò che l’Africa sta vivendo, può essere una
vera lezione anche per le democrazie stanche, per chi si sente quasi di dire: “Basta!Non
ne possiamo più... Adesso poi con le tasse…”. Abbiamo tanta ricchezza da apprendere,
da imparare, come vivere insieme, come il valore della comunità sia il valore primo.
Prendere in positivo questo approccio, questa apertura grande alla comunità, al vissuto
comune, è un messaggio valido. La primavera africana può diventare anche la primavera
per l’Europa, per l’Occidente, per tutto il mondo.
D. – Dunque, vi aspettate
cambiamenti in termini positivi dopo l’elezione della nuova presidente. Lei ha parlato
di democrazia, di apertura: c’è un’aspettativa in questo senso?
R. – Un’aspettativa
grandissima. “Siamo ritornati nel mondo”, dice la gente del Malawi. Eravamo esiliati,
e il presidente di prima ci ha portato a essere chiusi in noi stessi. Attualmente,
la speranza è nell'avere una donna che ha lavorato con i poveri, tanto che la chiamano
“la madre dei poveri”, e che si è fatta voce di questa crescita del Paese dal basso.
Adesso che si trova ad essere la presidente del Paese, le speranze sono proprio tante.
(bi)