I vescovi del Medio Oriente rilanciano il Vangelo della pace. Interviste con mons.
Celli e padre Spadaro
Si conclude domani ad Harissa, in Libano, un Seminario sul tema della Comunicazione
in Medio Oriente come strumento di evangelizzazione, di dialogo e di pace. All’evento,
organizzato dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, partecipano vescovi
e operatori della comunicazione della regione mediorientale. Il nostro inviato Robert
Attarian ha intervistato il presidente del dicastero promotore, mons. Claudio
Maria Celli:
R. – Mi sembra
importante che la Chiesa e i suoi pastori, i sacerdoti e i laici qui presenti, s’interroghino
su quale deve essere la comunicazione della Chiesa. Qual è lo scopo della comunicazione
della Chiesa? Come la Chiesa è coinvolta nella comunicazione all’uomo di oggi? E’
innegabile che qui emergono immediatamente varie risposte alla domanda di come prestare
attenzione all’uomo di oggi, ai suoi problemi, alle sue sofferenze, alla sua ricerca,
alla sua ricerca di verità. La Chiesa è accanto all’uomo di oggi, alla donna di oggi
in questo loro cammino - alle volte difficile, ma sempre vero e bello anche – di ricerca
del vero, del buono. Credo che questa sia una delle grandi sfide per la Chiesa in
questi grandi e storici territori. Lei pensi cosa significa per noi venire in queste
terre che si aprono dal Mediterraneo fino alla Mesopotamia; in queste terre che hanno
visto il grande annuncio, la vita dei patriarchi della nostra fede, così come hanno
visto la vita di Gesù in mezzo a noi, la vita dei primi discepoli di Gesù, i primi
movimenti di annuncio missionario, quando i primi discepoli di Gesù dovevano affrontare
la cultura dell’epoca, le varie culture dell’epoca.
D. – Quali le sfide che
deve affrontare la Chiesa nel suo annunciare il Vangelo?
R. - Io credo che
oggi la Chiesa debba affrontare nuove sfide e proprio nel contesto della comunicazione
c’è la sfida posta dalla cultura digitale, una cultura che si impone a noi: non sono
più solamente strumenti di comunicazione, perché le moderne tecnologie creano un
ambiente di vita e in questo ambiente di vita si crea, ha origine una nuova cultura.
La grande sfida per la Chiesa oggi - e anche per le Chiese particolari del Medio Oriente
- è proprio quella di vedere come riuscire a stabilire un dialogo con questa cultura;
vedere se riesce la Chiesa di oggi ad avere un linguaggio che l’uomo di oggi può comprendere,
perché questo annuncio del Vangelo, questa difesa profonda della verità sull’uomo
– così come ci dice Papa Benedetto XVI – deve veramente inserirsi e deve scendere
nel cuore dell’uomo e della donna di oggi. Questa è la nostra grande sfida!
D.
– Quali risultati possono emergere da questo seminario?
R. - Direi che uno
dei primi risultati potrebbe proprio essere questo: vedere come queste Chiese, ricche
di grandi tradizioni … e lei pensi che difficoltà hanno avuto queste Chiese, queste
Chiese patriarcali - sono storie non solamente belle per quello che hanno avuto, ma
storie anche di grandi sofferenze… - lei pensi cosa vuol dire ancora oggi la parola
“pace”, che alla fin fine è il grande saluto pasquale, il grande dono pasquale di
Gesù Risorto: “La pace sia con voi”. Questa parola pace risuona ed è percepita da
queste popolazioni con intima sofferenza e questo perché intere generazioni non sanno
cosa vuol dire “pace”. Ecco allora perché, ancora una volta, risuona la voce di Papa
Benedetto, quando terminando il Sinodo della Chiese del Medio Oriente, diceva che
la pace è possibile e che non possiamo rassegnarci a una mancanza di pace. Il tema
scelto proprio per questo seminario vuole proprio approfondire l’annuncio del Vangelo,
che è dialogo, che è pace. Credo che tutte le varie comunità debbano sentirsi coinvolte
nell’annuncio del Vangelo, nell’istaurare un clima di dialogo rispettoso con gli altri,
ma debbano essere – allo stesso tempo – costruttrici di pace.(mg)
E’ intervenuto
al seminario di Harissa anche padre Antonio Spadaro, direttore della rivista
dei Gesuiti “Civiltà Cattolica”. Robert Attarian lo ha intervistato sul rapporto tra
tecnologia e fede:
R. – La tecnologia
è l’espressione della libertà dell’uomo: non è solo espressione della sua volontà
di potenza sulla realtà, ma è anche la capacità dell’uomo – appunto – di relazionarsi
in maniera libera nei confronti del mondo e di costruire il proprio futuro. Evidentemente
questo ha a che fare con la vita spirituale dell’uomo perché semmai si può agire male
o agire per il male: paradossalmente è proprio questa la prova del fatto che la tecnologia
ha una capacità spirituale, diventando cioè il luogo di espressione della libertà
e dello spirito dell’uomo.
D. – Una sua affermazione ha suscitato un po’ di
scalpore: la rete – lei ha detto - non è un mezzo di evangelizzazione…
R. –
Sì, la rete non è uno strumento, non è come un martello che si può utilizzare come
un qualcosa di oggettivo, come appunto un oggetto; è, al contrario, un contesto, un
contesto esperienziale, un ambiente di vita. Questo lo vediamo sempre di più: i giovani,
soprattutto i cosiddetti “nativi digitali”, vivono la rete come un luogo dove esprimere
la loro capacità di relazione, un luogo attraverso il quale conoscono il mondo, conoscono
la realtà. Quindi la rete non è uno strumento, non può essere un mezzo neanche di
evangelizzazione: semmai è un luogo di evangelizzazione. Per la Chiesa si tratta di
incontrare gli uomini lì dove sono ed oggi gli uomini sono anche in rete e quindi
la Chiesa è chiamata ad essere in rete.
D. – Nel suo intervento ha parlato
di tre punti critici…
R. – Il primo punto critico consiste nella dimensione
antropologica della ricerca di Dio: mi sono chiesto che cos’è la ricerca di Dio al
tempo dei motori di ricerca? Come la rete, dato che la rete ha un impatto sul nostro
modo di pensare e di conoscere, contribuisce a porsi la domanda di Dio, la domanda
su Dio? Quindi se ci abilita o meno a cercare di Dio. Questo è il primo argomento.
Il secondo riguarda le relazioni di comunione: oggi la rete è composta di networks,
di communities e quindi di comunità, di connessione tra le persone. Qual è la relazione
tra questa connessione e la comunione che la Chiesa è chiamata a vivere? Il terzo
punto riguarda invece la questione dell’autorità: sappiamo infatti che in rete ci
sono collegamenti che non sono strutturati in maniera gerarchica e tutte le relazioni
sembrano svolgersi all’interno di relazionalità orizzontali, quindi non gerarchiche.
In che modo allora l’autorità della Chiesa può essere intesa oggi, quando la sensibilità
comune è avulsa da una gerarchia molto precisa? Nel mio intervento dicevo che la carta
da giocare in questo tempo è quella della testimonianza, perché è vero che la rete
si fonda su collegamenti orizzontali, ma è anche vero che i contenuti passano attraverso
le relazioni e questo lo vediamo con i social network, con Facebook: qualcosa viene
comunicato, un contenuto è comunicato solo se scambiato attraverso relazioni di amicizia.
E questo la Chiesa lo definisce da sempre testimonianza. (mg)