Turchia, richiesta di riconoscimento della Chiesa locale. Mons. Franceschini: il clima
è positivo
“C’è un clima molto positivo intorno alla richiesta di riconoscimento giuridico della
Chiesa in Turchia”: sono parole di mons. Ruggero Franceschini, presidente della
Conferenza Episcopale di Turchia (Cet) e arcivescovo di Smirne, dopo l’audizione
svoltasi ad Ankara presso la “Grande Assemblea”, corrispondente al Parlamento italiano,
durante la quale il presule ha esposto “i problemi e le richieste della Chiesa da
inserire nella nuova Costituzione” che si sta redigendo. Fausta Speranza ha
chiesto a mons. Franceschini che significato avrebbe il riconoscimento giuridico:
R. – Significa
chiaramente che anche tutte le altre possibili cose che ci possono riconoscere – tipo
di chiese, scuole e ospedali – potrebbero essere intestate a noi. Se non siamo giuridicamente
riconosciuti, non possono intestare niente a noi… Chi non è giuridicamente riconosciuto
è un essere che non c’è. Invece, riconoscendoci, potremmo avere proprietà intestate:
certo, non ce le portiamo dietro quando andiamo in Europa, ma possiamo fare lavori
di restauro, lavoro di aggiornamento… Insomma è nostra.
D. – Ci può dire qualcosa
dell’incontro che avete avuto con le autorità?
R. – Eravamo in quattro: i quattro
rappresentanti di tutto il cristianesimo della Turchia. Due vescovi non sono potuti
venire e quindi eravamo solo tre vescovi e il portavoce. Sono stati gentili, abbiamo
parlato finché abbiamo voluto. E’ stata la prima volta. Non abbiamo preso decisioni
e abbiamo detto che si saremmo poi ritrovati. Rimane e rimarrà sempre una scelta da
compiersi da parte della Chiesa, altrimenti rimarrà sempre com’è adesso: con delle
diocesi che sono tre-quattro volte la diocesi di Milano, con dieci preti e due suore
e – che so – tre-quattro volontari. Qui c’è bisogno non di risvegliare i nostri diritti
– considerando che si discute l’ingresso della Turchia in Europa – ma di renderci
consapevoli dei nostri grandissimi doveri.
D. – Mons. Franceschini, questo
potrebbe significare chiaramente un impegno più attivo di pastorale?
R. – Sì,
molto di più. C’è da augurarselo. L’impegno attuale è portato avanti soprattutto dai
Cappuccini, presenti dal 1522 in Turchia. L’abbiamo scelta come luogo di missione.
Abbiamo sempre realizzato – anche in perdita – la nostra presenza qui: è anche una
necessità se si vuole dialogare con il Medio Oriente.
D. – Mons. Franceschini,
quali le sfide?
R. – Le sfide sono tante. La prima sfida è quella di essere
qui in veste di persone che si sentono spiritualmente turche, che si sentono cioè
parte di questa grande Repubblica Turca che non vuol dire che sia tutta musulmana,
e che lavorano per questo ambiente, per i giovani, gli ammalati… Quindi è una sfida
grande. Una sfida che non è certamente facile vincere. Ci auguriamo davvero la possibilità
di avere più spazi, più possibilità. Si parla più di Terra Santa, ma in realtà la
"seconda" Terra Santa è qui perché gli Apostoli, cacciati da Gerusalemme, si sono
sparsi in Turchia: Paolo ha agito qui, Pietro ha agito qui, Giovanni ha agito qui.
Quindi, si dovrebbe aprire il cuore e anche le mani per costituire, anche qui, dei
punti di riferimento. Laggiù, in Terra Santa, ci sono alberghi per i pellegrini, ci
sono iniziative per i giovani… Dovrebbero esserci anche qui. Se siamo riconosciuti
giuridicamente possiamo anche noi far parte dell’ambito dell’insegnamento, ad esempio,
di lingue estere. Non diciamo la religione perché l’insegnamento della religione rappresenta
ancora un tema tutto da trattare.(mg)