Mali, appello dell’Unesco: salviamo i documenti antichi di Timbuctu da traffici illeciti
La direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova, ha lanciato un allarme che riguarda
Timbuctu, storica località situata nella parte centro-settentrionale del Mali. È un
appello agli Stati confinanti col Paese africano per impedire il traffico di “tesori
di documenti e manoscritti” dall’Istituto di alti studi e di ricerche islamiche Ahmed
Baba e da altri centri culturali di Timbuctu. Questi enti ospitano antichi documenti,
originali o in copia manoscritta, del Maghreb e dell’Africa subsahariana, risalenti
all’epoca d’oro di Timbuctu, tra il XII e il XV secolo, e riguardanti la teologia,
la matematica, la medicina, l’astronomia e la musica, perlopiù in lingua araba ma
anche in lingue locali, come il "songhai" e l’"hausa". Mentre il nord del Mali è da
settimane sotto il controllo delle milizie Tuareg e di gruppi estremisti e criminali,
le informazioni giunte all’Unesco – che ha proclamato Timbuctu patrimonio dell’umanità
– riferiscono che i ribelli islamici del movimento armato Ansar Dine, vicini ad Al
Qaeda, sono entrati nel centro Ahmed Baba, prendendone il controllo e portando via
sacchi di documenti. Sui tesori di Timbuctu, Giada Aquilino ha intervistato
l’archeologo Marco Di Branco, ricercatore presso l’Istituto storico germanico
di Roma e organizzatore di diversi viaggi in Mali col Fondo ambiente italiano (Fai):
R. – Timbuctu
è stata importantissima nel commercio transahariano medievale, essendo poi stata capitale
di due grandi imperi: l’impero del Mali e l’impero Songhai. A Timbuctu confluivano
gigantesche carovane provenienti dal nord dell’Africa, dal Marocco, dall’odierna Mauritania,
che - oltre a materiali di vario genere, come spezie e metalli preziosi - portavano
anche manoscritti. A Timbuctu, infatti, aveva sede una classe dirigente molto raffinata,
arabizzata, che era in contatto con le grandi capitali del mondo islamico, quindi
con Il Cairo, con Damasco, con le città dello Yemen. Infatti, i manoscritti che sono
stati trovati a Timbuctu provengono da molte aree del mondo islamico e sono più di
700 mila. Sono manoscritti medievali, ma arrivano anche alle soglie dell’epoca moderna,
perché la tradizione di copiare i testi si è mantenuta fino ad oggi in quest’area.
Si tratta di manoscritti di vario genere, per esempio storie, cronache, ma riguardano
anche l’astronomia, opere scientifiche che venivano copiate nei grandi centri della
cultura islamica mondiale e che poi i mercanti di Timbuctu importavano in questa città.
La cosa veramente interessante è che esistono più di 80 biblioteche familiari a Timbuctu:
ogni famiglia aveva la sua biblioteca. Quindi, il senso del progetto dell’Unesco,
oltre a salvare i manoscritti presenti, è anche quello di impedire la dispersione
di questo patrimonio librario diffuso in città.
D. – Perché Timbuctu, che era
soprannominata “la perla del deserto”, è stata così importante e ora rischia un isolamento
che potrebbe farla cadere nell’oblio, forse?
R. – Timbuctu è stata importantissima
fino al momento in cui, per usare un’efficace espressione di uno storico portoghese,
le carovane sono state sostituite dalle caravelle, cioè i grandi traffici del mondo
mediterraneo, con la scoperta dell’America, si sono spostati altrove. Per cui, possiamo
dire che l’isolamento di Timbuctu comincia nel 1492 e prosegue ancora oggi. Al momento,
Timbuctu è una città in declino: chi la raggiunge si trova veramente in un luogo isolato,
fuori dal mondo, e questo è anche, forse, un elemento di grande bellezza e di grande
interesse per il viaggiatore odierno.
D. – Dopo il colpo di Stato militare
del 22 marzo scorso, nelle ultime ore in Mali è stato nominato un nuovo premier -
lo scienziato Cheick Modibo Diarra - e nel nord i Tuareg avrebbero deciso un cessate-il-fuoco.
Nei giorni scorsi però, secondo le informazioni diffuse dall’Unesco, gruppi di ribelli
islamici avrebbero depredato il centro Ahmed Baba. E’ un sito facilmente accessibile?
R.
– Sì, il centro Ahmad Baba è la grande biblioteca di Timbuctu. E’ un grande centro
pubblico, a differenza delle altre biblioteche che sono invece private e che si trovano
nelle case private. E’ un centro accessibile, aperto a tutti. Ed è facilmente raggiungibile,
trovandosi nel centro della città. È quindi del tutto plausibile la notizia. Naturalmente,
ci sarà anche gente tra i ribelli che è conscia del valore, anche commerciale purtroppo,
di questi oggetti. Com’è successo altrove, alla guerra spesso si unisce questo ennesimo
sfregio che riguarda la cultura. Per esempio, dal museo di Baghdad, in Iraq, sono
stati asportati molti oggetti e, anche durante i recenti fatti in Egitto, dal Museo
del Cairo sono scomparsi dei reperti. Anche questo fa parte della guerra.
D.
– Come tutelare allora tali opere?
R. – Credo che la prima cosa da fare sarebbe
tutelare le persone, quindi evitare queste guerre terribili. Sono delle offese che
si fanno all’umanità. Penso, quindi, che alle ferite fisiche, alle ferite dei corpi,
si poi uniscano le ferite al patrimonio culturale, che sono più o meno due facce della
stessa medaglia. Allora, forse, l’unico modo per tutelare il patrimonio culturale
è fermare queste guerre. (ap)