La morte del calciatore Piermario Morosini: dolore e solidarietà
Ha destato attonito stupore e dolore l’improvvisa morte di Piermario Morosini, il
giovane calciatore del Livorno, deceduto per un malore accusato in campo sabato scorso
allo Stadio Adriatico di Pescara durante il confronto con la squadra locale. La Procura
della Repubblica della città abruzzese ha aperto un fascicolo per “omicidio colposo”,
per mettere in luce se vi siano stati ritardi e negligenze nell’opera di soccorso
al giocatore. Morosini, rimasto giovanissimo orfano, aveva ancora una sorella portatrice
di handicap alla quale lui stesso provvedeva. Nei prossimi giorni i funerali nella
nativa Bergamo. Come riassumere la vita di questo giovane che già aveva dovuto sopportare
prove difficili? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a don Luciano Manenti,
ex direttore dell’oratorio che Piermario ha frequentato sin da giovanissimo.
R. – Si riassume
con una parola che forse in questo momento non è di moda, la chiamerei una vita “normale”,
normale anche nel senso di vita cristiana. Solo ho l’impressione che in questo momento
ciò che è normale in questo mondo diventi straordinario, perché essere normali vuol
dire essere umili, corretti, attenti, capaci di valorizzare le persone e tutto questo
oggi è certamente straordinario. Prima di tutto la sua famiglia è stata il luogo dove
Piermario ha imparato a voler bene alle persone per quello che sono, a voler bene
anche agli ultimi, ai più fragili, perché ovviamente anche la sua vicenda personale
l’ha portato a imparare questo, anche se era entrato a far parte di un mondo dove
è facile perdere questa caratteristica.
D. – Uno degli aspetti di Morosini
era costituito dal fatto che i momenti di libertà dal calcio li dedicava proprio a
tornare nella sua città e a dedicarsi all’oratorio e a chi aveva bisogno…
R.
– Diciamo che Mario faceva quello che fanno tanti giovani nei nostri quartieri e come
tanti ragazzi frequentava l’oratorio che per tanti in modi diversi è comunque un luogo
di riferimento all’interno del quale con molta naturalezza i ragazzi più grandi danno
una mano e seguono i ragazzi più piccoli, che stanno crescendo, sapendo che ogni giovane
è una ricchezza… Per i ragazzi più piccoli, in modo particolare, lui veniva visto
come una persona per loro speciale, perché era un calciatore affermato e sappiamo
quanto i ragazzini amano lo sport in maniera smisurata! Ma non aveva bisogno di questo
per ottenere l’attenzione e il consenso dei ragazzi, che otteneva per la sua capacità
di ascoltarli, di star loro vicino. Credo che questo sia forse il primo degli insegnamenti
che ci lascia: cioè, la capacità di non mettere se stesso al centro dell’attenzione,
ma metterci gli altri.
D. – Lei ha fatto un cenno alla famiglia di Piermario
Morosini; rimane una sorella purtroppo diversamente abile… Proprio il mondo del calcio
ha espresso solidarietà per questa situazione. Nel dolore questo è un aspetto positivo
da sottolineare…
R. - E’ un aspetto positivo e in questo momento siamo vicini
alla famiglia che chiaramente guarda a questa attenzione senz’altro con occhio benevolo,
però non c’è attualmente una situazione di difficoltà. Se davvero col tempo si avrà
voglia di tenere fede alla volontà di fare qualcosa in aiuto della sorella di Piermario,
io credo senz’altro che ci saranno persone intelligenti capaci di mettere insieme
queste disponibilità, queste risorse, per fare del bene anche attorno a questa ragazza,
anche perché Morosini stesso aveva già provveduto, affinché sua sorella potesse essere
accudita adeguatamente.
D. – C’è un po’ il rammarico per questa scomparsa
così prematura che forse poteva essere evitata?
R. – Non lo so, in questo momento
non è la nostra esigenza o forse predomina il sentimento di gratitudine per quello
che è stato Piermario in vita e il senso di come davvero la vita non sia nelle nostre
mani. (bf)