Mons. Fisichella: screditare la pluralità dei partiti mette a rischio la democrazia
La crisi economica che sta colpendo l'Italia e l'Europa continua a essere causa di
nuovi suicidi tra quanti perdono il posto di lavoro, ma anche tra gli stessi imprenditori
che vedono, spesso impotenti, fallire la propria azienda. Ieri, altre due vittime
si sono registrate in Sicilia e in Toscana. Un imprenditore si è invece sparato in
Veneto. Un dramma, quello degli imprenditori e dei lavoratori che non trovano il coraggio
di reagire alla crisi, che preoccupa la Chiesa. Una crisi economica che dovrebbe essere
risolta dalla politica, oggi in difficoltà nella gestione del bene comune. Luca
Collodi ne ha parlato con mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio
Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
R. – Direi,
innanzitutto, che bisogna trovare anche le cause di questa crisi economica. Non dimentichiamo
che questa è legata anche aduna profonda crisi finanziaria, iniziata negli Stati Uniti
e poi, a catena, rovesciatasi in Europa e in altre parti del mondo. Tra le tante cause
non si può neppure dimenticare – perché questa è competenza della Chiesa – il richiamo
dei principi etici. Laddove c’è l’economia, laddove c’è la casa, la famiglia, si deve
essere capaci di comprendere l’orientamento della vita, comprendere il quotidiano,
cercare di verificare in che modo lo stile di vita, i comportamenti vengono posti
in essere. Dunque, il richiamo etico non può essere secondario. Quindi, anche forti
dell’insegnamento sociale – pensiamo nei tempi più recenti alla Populorum Progressio
di Paolo VI, alle tre Encicliche sociali di Giovanni Paolo II e all’ultima Enciclica
di Benedetto XVI – non possiamo esimerci dal dover non solo compiere una spassionata
analisi delle cause e delle situazioni concrete in cui ci si viene a trovare con questa
crisi – certamente non ci si può aspettare da noi delle vie concrete di soluzione
– ma, dall’altra parte, la Chiesa sente anche la responsabilità di poter orientare
quanti ne hanno responsabilità alla considerazione del bene comune e a soluzioni,
quindi, che non possono privilegiare né deprimere una categoria particolare, ma devono
essere soprattutto in grado di andare al di là del particolare, per puntare gli occhi
sul bene di tutti e il progresso stesso della società.
D. – Lei, come abbiamo
detto, ha conosciuto molto bene il mondo della politica. E’ preoccupato, anche sul
piano più personale, per la crisi che sta attanagliando i partiti, i partiti che sono
soggetti che dovrebbero invece promuovere il bene comune?
R. – Sono preoccupato
della mancanza di credibilità che viene data in generale alle istituzioni. Dobbiamo
comprendere che è vero che ci sono anche fatti oggettivi, che portano a un discredito
della classe politica e che possono anche portare ad una mancanza di credibilità nei
confronti dei partiti. Tuttavia, non si può generalizzare, non si deve generalizzare,
e soprattutto bisogna essere lungimiranti. La vita di una società democratica si sviluppa
attraverso la vita dei partiti e metterli fuori gioco significa non avere più un richiamo
democratico. La sostituzione dei partiti, in politica, significa arrivare o a un’oligarchia
o a una tirannide e questo non è pensabile, soprattutto in una situazione come quella
che si vive, non solo in Italia, ma generalizzata in Europa. L’obiettivo dell’Europa
non può essere ovviamente un mettere fuori gioco i partiti. Questo, in una vita democratica,
non è possibile.
D. – Un recente sondaggio indica in un 50% la parte di popolazione
italiana che pensa di non andare a votare alle prossime tornate elettorali...
R.
– Sì, lo capisco, ma i partiti e le istituzioni in genere dovranno fare di tutto in
questo anno – poco più di un anno – che ci separa dal voto per essere in grado non
solo di essere propositivi, attraverso nuove forme che ridiano fiducia ai cittadini,
ma soprattutto, da parte nostra, nel far comprendere che la mancanza di partecipazione
alla vita del Paese diventa poi un’autoesclusione che comporta inevitabilmente un
orientamento della vita politica e sociale, che non può essere soltanto nelle mani
di pochi gruppi o poche persone. (ap)