Il Convegno "Aquileia 2": la Chiesa a confronto con crisi e multiculturalità
Approfondire la reciproca collaborazione per una rinnovata capacità di testimonianza
del Vangelo in un contesto che sta vivendo grandi e rapidi cambiamenti: è la ragione
del Convegno ecclesiale: “Testimoni di Cristo, in ascolto”, che da ieri riunisce a
Grado, in provincia di Gorizia, le 15 Chiese del Triveneto. Un convegno che è e vuol
essere un segno di speranza, scandito da momenti di preghiera e di reciproco ascolto,
e che si concluderà domani ad Aquileia, Chiesa madre delle diocesi del Nordest italiano.
Oltre 600 i partecipanti impegnati oggi nei lavori di gruppo. Il servizio della nostra
inviata, Adriana Masotti:
“Non possiamo
tacere quello che abbiamo visto e udito: è questo il motivo che ci ha fatto convenire
qui per questo Convegno ecclesiale”. Così mons. Dino De Antoni, arcivescovo di Gorizia
e presidente della Conferenza episcopale triveneta, ha parlato nell’omelia alla Messa
di questa mattina nell’antica Basilica di Grado. Qui, ha continuato, sono germogliate
le radici della nostra fede che vogliamo pubblicamente annunciare nel nostro contesto
culturale. Tutto - la secolarizzazione, le difficoltà del presente, ha sottolineato
- è provocazione al rinnovamento per passare da una fede creduta ad una fede vissuta.
Le sue parole di incoraggiamento hanno dato il via ai 30 gruppi di lavoro che per
tutta la giornata entreranno nel vivo delle realtà che interrogano le Chiese del territorio:
la multiculturalità, la necessità di linguaggi nuovi per trasmettere la fede ai giovani,
la crisi economica, la fragilità della famiglia, il rapporto con la politica. Sullo
sfondo, sempre il tema della nuova evangelizzazione. Il commento padre Giuseppe
Moni di Treviso, responsabile del gruppo Famiglia ed educazione:
“Il
tema delle famiglie è stato individuato nell’ambito della nuova evangelizzazione nel
Nordest assieme a quello dei giovani, un tema nevralgico. E’ sotto gli occhi di tutti
la situazione in cui ci si trova e le famiglie si trovano. Quindi, è giusto che la
Chiesa si interroghi su come sostenere e come evangelizzare la famiglia. Io credo
che il Cristo risorto non ci voglia lasciare nella palude dei problemi, o affogandoci
sotto, nelle descrizioni e nelle analisi… Penso che attraverso il discernimento saremo
in grado di scoprire quello che lo Spirito vuole dire alle Chiese. Io credo che novità
ce ne potranno essere!”.
Mons. Lucio Soravito, vescovo di Adria-Rovigo
riguardo all’immigrazione, uno dei temi caldi, si è chiesto quale conversione devono
fare le comunità del Triveneto per favorire l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati,
mentre del “bisogno di un profondo rinnovamento”, ha parlato ieri anche il vescovo
di Padova, mons. Antonio Mattiazzo esprimendo solidarietà alle popolazioni del territorio
che soffrono per la crisi economica ma anche nei confronti di tutte le povertà e le
angosce degli uomini d’oggi.
Il lavoro: occupazione, crisi, imprenditoria.
Il Nordest è in prima fila anche su questo tema. Ne ha parlato al Convegno ecclesiale
dedicato a questa area d’Italia, Franca Porto della Cisl Veneto. L’intervista
è di Adriana Masotti:
R. - In questi
anni, il lavoro, per noi del Veneto, è stato purtroppo quasi una "religione" parallela.
E’ così forte e così importante da averci fatto mettere da parte tante altre cose.
Adesso che inizia a scarseggiare, forse torniamo a dargli il peso che è giusto che
abbia: considerarlo come uno strumento per permettere agli individui di crescere e
di emanciparsi, ma anche di essere persone in grado di fare delle scelte. Quelle scelte
che, oggi, sembrano così difficili da fare, come ad esempio costruire una famiglia,
o assumere un ruolo in una comunità. Penso che noi, nel Veneto e nel Nordest, abbiamo
ancora molte risorse, sia economiche - materiali e finanziarie - e sia di creatività,
di ingegno. Questo cambiamento di prospettiva del mondo odierno ci mette certamente
nelle condizioni di soffrire, ma anche di poter progettare una società, forse, più
a misura nostra.
D. - La crisi è quasi un’opportunità per rivedere un po’ la
scala dei valori nella vita delle persone?
R. - In questi tre anni, solo in
Veneto abbiamo perso 100 mila posti di lavoro. Si produce meno ricchezza e quindi
ci sono meno risorse da ridistribuire. Ma siamo ancora ricchi. Se il motivo per cui
ciò avviene è che l’altra grande fetta di umanità ha opportunità, attraverso il lavoro,
di stare meglio, riprogettare una società in cui il lavoro sia ancora il centro -
per riorganizzare però una vita meno consumistica - può essere l’elemento che aiuta
di fronte alla grande paura. Può essere soprattutto l’elemento che rimette al centro
un’idea di ridistribuzione di sacrifici, come anche di giustizia e di equità.
D.
- In questo processo di cambiamento di mentalità, le Chiese possono essere di aiuto?
R.
- Qui, c’è veramente da fare comunità insieme per la giustizia. Andare quindi ai fondamentali,
capire ad esempio che bisogna tornare a fare impresa e che bisogna farlo con un’idea
non di profitto ma di bene comune. E ricostruire: ricostruire molto, con senso di
giustizia.
D. - Coinvolgono molto le notizie dei suicidi di vari imprenditori.
Come si può spiegare questa reazione?
R. - Credo che la questione importante
sia essere capaci anzitutto di ascoltare, ma di andare ad agire poi sulle norme, sulle
leggi, sui comportamenti e sulla vicinanza, in modo che nessuno si senta solo di fronte
ai problemi.
D. - In tutto questo, l’immigrazione com’è vista qui, nel Nordest,
in questo momento?
R. - Non bisogna pensare che sia semplice o che vada bene,
a maggior ragione in un contesto come quello attuale, dove il lavoro che manca è vissuto
come l’acqua che manca. Io però sono a conoscenza di alcune situazioni, qui, di convivenza
e di costruzione di percorsi e di progetti comuni, soprattutto perché ci sono i figli
che sono nati qui, che parlano il nostro bellissimo dialetto e che vanno a scuola
con i nostri bambini. C’è poi una questione che non è risolta e non è risolvibile
neanche adesso che c’è la crisi: quella della denatalità. Noi abbiamo pochi giovani
e se gli immigrati sparissero non sarebbe né semplice e né possibile, in molti casi,
sostituirli. Invece, c’è oggi un’opportunità positiva diversa, che è quella di quei
lavori che noi pensavamo fossero troppo poveri e troppi faticosi per noi che siamo
nati qui, e che ora tornano invece a essere interessanti anche per noi. Il problema,
quindi, non è mandar via gli immigrati, ma recuperare l’idea che ogni lavoro ha un
suo valore e una sua dignità. Condividerli può essere l’elemento che recupera il senso
sia del lavoro in sé ma anche della possibilità di fare delle cose insieme. (vv)