Riparte oggi dal Lazio, da Latina, la Carovana antimafie di Arci, Libera e della rete
degli Enti locali Avviso Pubblico, che da 18 anni attraversa l'Italia per dire "no"
a Cosa Nostra e a tutte le forme di illegalità. Durante il viaggio, che si concluderà
l'11 ottobre in Sicilia, la Carovana toccherà tutte le regioni italiane, ma anche
Francia, nell'anno delle elezioni presidenziali, e Tunisia, simbolo di una nazione
che sta attraversando il cambiamento. Servizio di Francesca Sabatinelli:
Fare antimafia,
facendo società. Il messaggio della Carovana 2012 è tanto semplice da dire quanto
complesso da mettere in atto. Perché per “fare società” si intende ricostruire il
tessuto sociale, far diventare notizia le esperienze virtuose e di contro svelare
il malaffare e l’illegalità. L’intento degli organizzatori è questo sin dall’inizio
della Carovana. Che quest’anno assume un valore assai più forte in occasione del 30.mo
anniversario dell’uccisione di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa
e del 20.mo delle stragi di Capaci e via D’Amelio, dove morirono i giudici Falcone
e Borsellino. Nel viaggio che porterà la carovana in tutte le regioni italiane, in
Francia e in Tunisia, si darà vita a incontri con la cittadinanza e a conferenze nelle
scuole. Alessandro Cobianchi, coordinatore della Carovana:
R. - La Carovana
di quest’anno è un punto di passaggio. Diciotto anni fa, quando è nata aveva certezze
purtroppo negative. Era un Paese completamente allo sfascio, sicuramente dal punto
di vista dell’aggressione militare delle mafie. Oggi, invece, le mafie si stanno trasformando,
si sono già trasformate, sono in piena evoluzione. A noi piace capire cosa sta accadendo
a questo Paese, perché crediamo che ci sia una deriva culturale. Carovana non ha la
presunzione di bloccarla, ma intende interpretare e provare a raccontare quello che
accade andando nelle città, nelle piazze, e parlando direttamente con le persone.
D.
- Questo significa che, secondo voi, parlare ai cittadini, o far sentire loro in qualche
modo una sorta di sostegno, potrebbe incoraggiarli a ribellarsi, a non pagare più
il pizzo, a contrastare il racket delle estorsioni nonostante il rischio per le loro
vite e le loro famiglie?
R. - Noi non intendiamo sottrarre le persone al giogo
del pizzo o delle varie forme di estorsione, vogliamo soltanto provare a incontrare
queste persone. Naturalmente, la Carovana non è il toccasana, altrimenti ne faremmo
100 tutti i giorni. Però, credo che il fatto che in molte cittadine si possa parlare
del gioco d’azzardo, dell’isolamento sociale cui certi giochi conducono, sia qualcosa
di importante. A noi piace l’idea di poter incontrare una scolaresca e di poter raccontare
della forza dirompente del bene confiscato e dei prodotti che vengono da questi beni.
Se uno di quei ragazzi dovesse decidere domani di costruire associazionismo, di rafforzare
la partecipazione, di salire sulla Carovana, sappiamo di aver fatto comunque una piccola
parte importante del nostro lavoro. Questo è lo spirito del nostro viaggio.
La
Carovana è promossa anche da Avviso Pubblico, la rete degli enti locali per la formazione
civile contro le mafie, che in questo viaggio chiederà ai sindaci e agli amministratori
locali di sottoscrivere un Codice etico, la Carta di Pisa. Giuseppe Schena,
del direttivo nazionale di Avviso Pubblico sottolinea: per contrastare la criminalità
dobbiamo combattere per la legalità delle istituzioni.
R. - La Carta di Pisa,
il Codice etico per gli amministratori locali, è iscritto nei valori della Carovana:
stiamo parlando semplicemente del contributo che ognuno può dare per la legalità praticata,
non dichiarata. Noi chiediamo agli amministratori che sottoscrivano quel Codice, perché
in un modo molto semplice, nella loro attività quotidiana, possono dare un contributo
che non è scontato: nella capacità di tenere le relazioni in trasparenza, di assumersi
impegni che possono essere misurati, di praticare un comportamento corretto e di non
dare soprattutto spazio a interventi di natura discrezionale. Noi amministratori abbiamo
a disposizione una serie di procedure, di attività, di percorsi autorizzativi, che
devono essere immediatamente nella disponibilità di chi li usa, non devono essere
lasciati alla discrezionalità del politico, del sindaco o della giunta che decide
sì o no. Ci sono procedure, soprattutto in urbanistica, nell’autorizzazione delle
attività commerciali e produttive, nelle autorizzazioni di natura sanitaria, che devono
essere immediatamente nella disponibilità dei cittadini, senza questa intermediazione
politica, dove la politica non occorre: la politica scrive le regole, poi le presidia,
ma non deve occuparsi della gestione. Allora, credo, che non accettare regali sopra
un certo importo, non occuparsi di avere relazioni con imprese con le quali hai lavorato
o potresti lavorare in futuro, scegliere amministratori in giunta o in consiglio che
non abbiano relazioni con multiutility, società collegate, società patrimoniali,
credo che tutti questi siano gesti concludenti, più di ogni altra dichiarazione. Questa
è la Carta di Pisa, questo è l’impegno che chiediamo ai sindaci e agli amministratori
locali.
D. - Di fronte a notizie di cronaca, che ci riportano continuamente
dello scioglimento di comuni per mafia, pensiamo agli ultimi, come Castel Volturno…
R.
- Pensiamo a Castel Volturno, ai 200 che sono stati sciolti negli ultimi 20 anni,
ma pensiamo anche a quelli che sono stati sciolti nel Nord di questo Paese, penso
a Bordighera, a Ventimiglia, e a quanti sono in attesa, e quelli che sono in attesa
sono oltre la Linea Gotica. Quindi, anche il tema delle amministrazioni del Nord che
hanno a che fare con infiltrazioni, con criminalità, con condotte non proprio trasparenti
degli amministratori, è un tema attuale.
D. – Le infiltrazioni mafiose e la
cattiva amministrazione sono i motivi che hanno fatto crollare gli investimenti esteri
in Italia…
R. – Uno dei criteri con i quali si valuta se investire o no in
un Paese è l’affidabilità della pubblica amministrazione, della politica, delle istituzioni.
Non faccio investimenti ingenti in un Paese nel quale è nella discrezionalità di un
amministratore locale decidere come farlo e procedere attraverso percorsi che sono
indecifrabili dal punto di vista autorizzativo, perché c’è una procedura che è farraginosa,
perché ci sono vincoli, limiti, lacci e lacciuoli, e soprattutto perché c’è un’altissima
presenza di quello che è il condizionamento della criminalità.
Franco La
Torre è il figlio di Pio, l’uomo politico ucciso dalla mafia in Sicilia nel 1982.
E’ il presidente di Flare, il network che raduna una cinquantina tra associazioni
e ong europee, finalizzato alla cooperazione tra le organizzazioni della società civile
nella lotta contro le mafie e le criminalità organizzate transnazionali:
R.
– E’ importante ciò che fanno le istituzioni, ciò che fanno le organizzazioni grandi
e piccole, però se non c’è una presa di coscienza, un’assunzione diretta di responsabilità,
non si sconfiggono le mafie, perché ci accompagnano durante tutto il giorno. Noi possiamo
far finta di non vederle, ma spesso chi è accanto a noi è costretto a rivolgersi a
un usuraio, ad accettare le merci imposte, ad accettare il cemento, a chiedere una
raccomandazione. Per cui è la società che se ne deve far carico.
D. – Negli
ultimi anni, e non da pochi, molte componenti della società si sono rese conto del
loro importante ruolo in questa battaglia …
R. – Non c’è dubbio, anche se questo
della sensibilizzazione della società è un processo che va continuamente alimentato
e in questo dobbiamo dire grazie, a coloro che lo fanno: le associazioni come Libera,
come Avviso Pubblico, i sindacati. C’è tanta gente che è impegnata, che è sensibilizzata
e lo deve essere sempre di più. Ancora oggi, in Italia, paghiamo un limite di analisi,
nonostante tutto, ancora in molti considerano le mafie come una questione del “mezzogiorno
depresso”, considerano la presenza delle mafie - nel centro e nel nord Italia - come
fattori episodici, quando ormai sono fattori sostanziali e radicati. Perché continuiamo
a parlare di mafia, dopo 150 anni di unità d’Italia? Perché, disgraziatamente, la
storia della mafia affonda le sue radici nella nascita del nostro Stato, perché c’è
stata una grande capacità, da parte del potere politico di individuare nella criminalità
organizzata un utile strumento alle sue pratiche illegali, e da parte della criminalità
organizzata nel trovare, nella classe dirigente di questo Paese, il raccordo per moltiplicare
i suoi interessi ed i suoi guadagni. Tra i due c’è un patto, simboleggiato da quella
che viene chiamata la “zona grigia”: quei professionisti che sono apparentemente immuni,
intoccabili, ma che poi prestano i loro servizi, le loro capacità, le loro intelligenze
alle economie criminali.
D. – Lei presiede Flare network che l’anno prossimo
si unirà a tutte le altre associazioni che appoggiano la carovana. In che modo Flare
si inserirà, con quello che è il suo specifico?
R. – La novità è che da poche
settimane, la Commissione Europea ha elaborato una proposta di direttiva - da sottoporre
all’approvazione del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo – per l’introduzione
della legislazione per la confisca dei beni a livello europeo. E’ questo il motivo,
e non solo, per cui è necessario un impegno di organizzazioni internazionali - come
Flare - che accompagnino la Carovana in un grande giro, che tocchi perlomeno tutte
le capitali dell’Unione Europea, per raccontare ai cittadini e alle cittadine dell’Unione
Europea, che spesso non sanno, che spesso ignorano, che spesso sottovalutano, cosa
vuol dire vivere con le mafie, qual è il pericolo delle mafie. (cp)