La Pasqua dei marittimi: nei racconti dell'incaricato della pastorale marittima ed
aerea
Per una festa universale come la Pasqua, anche il mare può diventare un luogo di celebrazione
grazie all’impegno di molti sacerdoti e di altrettanti volontari. Lo spiega mons.
Giacomo Martino, incaricato nazionale per la pastorale degli addetti alla navigazione
marittima ed aerea, intervistato da Emanuela Campanile:
R. – Ci sono
due grosse presenze: i centri di accoglienza dei marittimi, che si chiamano “Centri
Stella Maris”, e i cappellani di bordo, che sono sacerdoti che accompagnano le migliaia
di persone e l’equipaggio normalmente sulle navi da crociera, anche se sono dedicati
all’equipaggio e non tanto ai passeggeri.
D. – Cosa significa per questa gente
rimanere comunque isolati in mezzo al mare per così tanto tempo?
R. – Sono
intere comunità di persone di nazionalità diverse, di fedi, culture diverse, che vivono
veramente gli uni a contatto con gli altri. Spesso penso a profeti di quella che sarà,
speriamo, la società del futuro, cioè una società che, davvero multietnica, vive un
rispetto attivo, quindi non solo in una tolleranza, ma veramente in una festa, e gode
delle feste degli altri, per cui la Pasqua è occasione di festa anche per chi non
crede in Gesù.
D. – Chi è che affronta il mare? Chi è che si dedica al mare?
Immaginiamo l’anziano pescatore che sistema le reti, ma forse c’è altro, direi...
R.
– Ci sono persone che, appunto, una volta, venivano catalogate nella categoria dei
migranti, invece oggi si è compreso, grazie al Motu Proprio di Giovanni Paolo II “Stella
Maris” proprio sull’apostolato del mare, che questo essere atipici è il fatto che
si stia lontani tanto da casa, ma poi si ritorni a casa e quindi si riparta. C’è un
luogo di partenza, ma non c’è mai un luogo di arrivo: è una sorta appunto di nomadismo
del mare, fatto di persone molto giovani, cioè papà e mamme di famiglia, molto spesso.
Parlo di mamme, perché il numero è estremamente elevato, ma anche di donne che vanno
per otto, dodici mesi per mare, in modo da portare il pane a casa. Questa è la prima
vera motivazione per la quale uno va per mare oggi.
D. – Quindi, la rete d’intervento
qual è? Faccio riferimento ovviamente alla rete d’intervento della Federazione Stella
Maris...
R. – I marittimi l’hanno voluta chiamare “la casa lontano da casa”.
Ci sentiamo un poco la loro famiglia in quelle pochissime ore e soprattutto cerchiamo
di far sì che loro abbiano contatto con la famiglia per telefono o tramite Skype,
oggi, in questo modo è anche possibile vedersi. A volte vedo mariti fermi davanti
al monitor del computer e dico: “Mah, si sarà rovinato il computer, non funzionerà”;
poi sbirciando un po’ vedo che sul monitor c’è l’immagine della moglie con il bimbo,
che loro magari non hanno ancora visto da quando è nato. Sono immagini rapite, rubate,
che però fanno sentire - grazie a queste piccole e grandi storie - immediatamente
ampiamente ripagato il sacrificio di tanti volontari.
D. – Cosa insegna il
mare, quindi?
R. – Il mare insegna e insegna tanto: insegna soprattutto la
comunione tra i popoli. Durante il conflitto tra Serbia e Croazia, ero cappellano
a Genova e ho trovato una nave da carico sulla quale lavoravano serbi e croati assieme,
mentre a terra si ammazzavano crudelmente. A bordo la gente, forse perché obbligata,
perché costretta, perché “o così o nulla”, impara a riconoscere le cose belle dell’altro
e questo, anche a me, come uomo prima di tutto, mi ha insegnato a guardare nell’altro
le cose belle, le cose che ci uniscono. Spesso si pensa al mare come l’acqua che divide
le nazioni. Per i marittimi, invece, il mare unisce: unisce le genti e i popoli diversi.
D.
– Un augurio per questa Pasqua alla sua gente di mare, perché credo che lei abbia
nel cuore l’acqua del mare e questi volti...
R. – L’augurio è proprio quello,
che non si sentano soli. Gesù ce l’ha detto: “Io sarò con voi fino alla fine del mondo”.
Questo Gesù rimane con noi ed è davvero rappresentato dalle migliaia di volontari
che ogni giorno vanno sulle navi, che salutano, che portano le registrazioni dei vostri
notiziari, perché davvero anche loro si sentano amati e cercati da una Chiesa che
non possono frequentare. (ap)