Meno 3 miliardi di euro per gli aiuti pubblici allo sviluppo. I dati diffusi all’inizio
del mese dall’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (Ocse) segnalano
un drastico calo degli stanziamenti per la lotta alla povertà nel mondo. Una situazione
che mette in serio pericolo il conseguimento degli Obiettivi del Millennio entro il
2015. A lanciare l’allarme per le conseguenze dei tagli operati dagli Stati è l’organizzazione
non governativa Oxfam, che denuncia il mancato rispetto degli impegni da parte di
alcuni Paesi europei. Stefano Leszczynski ha intervistato Francesco Petrelli,
presidente di Oxfam Italia.
R. – Noi abbiamo
la forte preoccupazione che questo sia addirittura un dato gonfiato. Non solo siamo
lontanissimi dall’obiettivo dello 0.70, ma pensiamo anche che questo 0.19 sia costruito
con dei dati che non hanno nulla a che fare con quello che è “l’aiuto genuino”, come
viene definito anche in ambito di valutazione di computazione europea. Dentro, ad
esempio, c’è tutto quello che riguarda il “fronteggiamento” dell’emergenza-immigrazione
dovuta, nel corso del 2011, alle note vicende della guerra libica e dell’instabilità
dell’area mediterranea e mediorientale.
R. – Perché questo tipo di spesa non
c’entra con la cooperazione e su cosa si concentra, in realtà, la spesa per gli aiuti
allo sviluppo?
R. – Questo lo stabilisce lo stesso Ocse, e fra l’altro è un
criterio condiviso dalla stessa Commissione europea. Sono quegli aiuti che, effettivamente,
si concretizzano in progetti di sviluppo o in interventi di aiuto umanitario. Per
intenderci: nulla a che fare con quello che si spende per i rifugiati o per i profughi,
che ovviamente è una cosa importante ma attiene ad altre voci di spesa. Noi, come
organizzazioni non governative – non solo italiane, ma anche a livello europeo – della
Confederazione delle Ong europee di Concord, abbiamo detto che questi dati, se non
vogliamo prenderci in giro, devono essere riferiti effettivamente alle azioni, ai
progetti ed ai programmi di cooperazione allo sviluppo e di aiuto umanitario. Il prossimo
anno ci sarà la verifica di quello che hanno fatto i vari Paesi rispetto agli impegni
degli obiettivi del millennio. Ecco, l’Italia rischia di essere agli ultimissimi posti.
D.
– Sono tanti quelli che non hanno rispettato gli impegni, anche se tanti altri, però,
questi impegni li hanno rispettati nell’ambito dei Paesi Ocse. Come mai questa disparità
d’impegno nel settore degli aiuti allo sviluppo?
R. – E’ serio e realistico
tener conto di due elementi. Il primo riguarda gli effetti della crisi: c’è un dato
generale di diminuzione dell’aiuto pubblico allo sviluppo, che è pari a circa 3,4
miliardi di dollari. Queste sono le cifre che l’Ocse ci fornisce. Il secondo elemento
significativo e positivo che vogliamo sottolineare, è che c’è una differenza di visione:
alcuni Paesi – ad esempio l’Inghilterra – cercano di mantenere, nonostante le difficoltà
economiche, l’aiuto pubblico allo sviluppo allo stesso livello. Alcuni, addirittura
– soprattutto gli Stati nordici, come Norvegia e Danimarca -, tengono costante una
percentuale molto alta, che era attorno o superiore al famoso 0.7, che è l’obiettivo
che è stato dato dalla comunità internazionale non da oggi. C’è la convinzione che
anche la cooperazione non è un di più da tagliare in tempi di crisi ma, probabilmente,
se usata in modo efficace e trasparente, è un modo per contribuire all’uscita dalla
crisi.
D. – I soldi dell’aiuto allo sviluppo, insomma, potrebbero essere investiti
per creare dei circoli virtuosi che producono anche condizioni per far ripartire,
in maniera positiva, l’economia che al momento ristagna. E, al riguardo, ci sarebbero
varie possibilità per il reperimento di questi fondi, vero?
R. – Sappiamo che
con grande facilità, a partire dal 2008, per far fronte alla crisi sono state stanziate
ingentissime risorse: 18 mila miliardi di dollari, che molto spesso sono serviti per
salvare le banche dalla crisi finanziaria che iniziava proprio in quell’anno. Possibile
che non si trovino risorse con una piccolissima tassa sulle transazioni finanziarie?
Il che, peraltro, servirebbe anche per limitare le operazioni speculative del mercato
finanziario internazionale. Si potrebbero reperire 57 miliardi di euro, che potrebbero
andare, secondo un’idea di equità e di ridistribuzione equa, per far fronte alle crisi
e alle emergenze del mondo, in cooperazione e, noi crediamo, anche per le crisi interne.
Si tratta di un problema di acquisizione di una cultura e di una visione della responsabilità
comune rispetto al futuro. (vv)