Passione, morte e risurrezione in una periferia di Napoli: intervista col parroco
di Caivano
“E’ consolante pensare che Gesù sia nato in una periferia come la nostra abitata da
poveri, immigrati, rom; una realtà dove spesso i giovani muoiono per overdose o uccisi
dalla criminalità. Proprio qui ci può essere la Resurrezione”. All’inizio del Triduo
Pasquale vi proponiamo questa testimonianza di don Maurizio Patriciello, parroco
della chiesa di San Paolo Apostolo a Caivano, in provincia di Napoli. L’intervista
è di Fabio Colagrande:
R. – Io sono
parroco in un quartiere di quelli nati dopo il terremoto dell’80, sorti come funghi
all’improvviso, senza tradizione, che raccolgono un po’ tutti i poveri della “vecchia
Napoli”, dei vicoli della “vecchia Napoli”. La crisi si riversa sulle persone di questi
quartieri a rischio, poveri, come una vera e propria mannaia. E’ qualcosa di incredibile.
In questi giorni ho trovato nel Messale l’ultima bolletta che mi era stata portata
da un fratello che è allo stremo: mi ha chiesto di pagargliela. La parrocchia è veramente
la casa di tutti, la casa tra le case. C’è una disoccupazione nei nostri quartieri
che credo rasenti la follia. C’è gente che non riesce neanche a mettere un piatto
in tavola la sera.
D. - Queste sacche di povertà, di disoccupazione, sono anche
sacche molto pericolose…
R. – Sì, sono pericolosissime. Se avessi potuto dare
un lavoro a qualcuno lo avrei salvato dalla camorra, lo avrei salvato dalla delinquenza,
lo avrei salvato dalla morte. In questi nostri quartieri i funerali di giovani morti
per overdose o uccisi dalla polizia, in un conflitto a fuoco, uccisi da bande di camorristi…
sono veramente tanti. E’ una tristezza immensa, enorme.
D. – Padre Maurizio,
in questo contesto così particolare e difficile, come predicherà la Passione, morte
e risurrezione del Signore Gesù ai suoi parrocchiani?
R. – Lei non ci crederà
ma abbiamo quattro Messe la domenica, la nostra chiesa è abbastanza capiente. Credo
che riesca a contenere anche migliaia di persone. Domenica era strapiena. Passano
in tantissimi per la chiesa. Come predicherò… A me non fa piacere essere chiamato
il prete “anticamorra”, il prete “di frontiera”, no, no, no. Io sono un prete, un
prete e basta. E un prete che vuole bene a Gesù, che vuole bene alla Chiesa, che vuole
bene al Papa, che vuole bene alla gente, è un prete e quindi deve predicare Cristo
morto e risorto, al di là di ogni altra cosa. Poi deve scendere più in profondità
e dire che c’è tanta gente che vive questa Passione di nostro Signore Gesù Cristo.
D.
– Lei ci dice che lì nella periferia, dove c’è la sofferenza, lì ci può anche essere
la risurrezione…
R. – Certo, ci mancherebbe altro! Noi siamo cristiani non
siamo né fatalisti, né pessimisti. La mia parrocchia comprende tutti palazzi di edilizia
popolare; credo che in ogni appartamento ci siano almeno due famiglie, la famiglia
che lo ha ricevuto e poi un figlio o una figlia che si sono sposati ma che non trovano
casa, che non se la possono permettere… Ed ecco che la famiglia fa un po’ quello che
ha fatto la Madonna: si mette da parte, fa spazio, accoglie. Quanti termini usiamo
anche nella nostra teologia, nella nostra pastorale, nei nostri incontri, che magari
ci fanno anche fare bella figura ma spesso non sono termini vissuti: l’accoglienza,
per esempio... (bf)