2012-04-05 13:01:04

Passione, morte e risurrezione in una periferia di Napoli: intervista col parroco di Caivano


“E’ consolante pensare che Gesù sia nato in una periferia come la nostra abitata da poveri, immigrati, rom; una realtà dove spesso i giovani muoiono per overdose o uccisi dalla criminalità. Proprio qui ci può essere la Resurrezione”. All’inizio del Triduo Pasquale vi proponiamo questa testimonianza di don Maurizio Patriciello, parroco della chiesa di San Paolo Apostolo a Caivano, in provincia di Napoli. L’intervista è di Fabio Colagrande:RealAudioMP3

R. – Io sono parroco in un quartiere di quelli nati dopo il terremoto dell’80, sorti come funghi all’improvviso, senza tradizione, che raccolgono un po’ tutti i poveri della “vecchia Napoli”, dei vicoli della “vecchia Napoli”. La crisi si riversa sulle persone di questi quartieri a rischio, poveri, come una vera e propria mannaia. E’ qualcosa di incredibile. In questi giorni ho trovato nel Messale l’ultima bolletta che mi era stata portata da un fratello che è allo stremo: mi ha chiesto di pagargliela. La parrocchia è veramente la casa di tutti, la casa tra le case. C’è una disoccupazione nei nostri quartieri che credo rasenti la follia. C’è gente che non riesce neanche a mettere un piatto in tavola la sera.

D. - Queste sacche di povertà, di disoccupazione, sono anche sacche molto pericolose…

R. – Sì, sono pericolosissime. Se avessi potuto dare un lavoro a qualcuno lo avrei salvato dalla camorra, lo avrei salvato dalla delinquenza, lo avrei salvato dalla morte. In questi nostri quartieri i funerali di giovani morti per overdose o uccisi dalla polizia, in un conflitto a fuoco, uccisi da bande di camorristi… sono veramente tanti. E’ una tristezza immensa, enorme.

D. – Padre Maurizio, in questo contesto così particolare e difficile, come predicherà la Passione, morte e risurrezione del Signore Gesù ai suoi parrocchiani?

R. – Lei non ci crederà ma abbiamo quattro Messe la domenica, la nostra chiesa è abbastanza capiente. Credo che riesca a contenere anche migliaia di persone. Domenica era strapiena. Passano in tantissimi per la chiesa. Come predicherò… A me non fa piacere essere chiamato il prete “anticamorra”, il prete “di frontiera”, no, no, no. Io sono un prete, un prete e basta. E un prete che vuole bene a Gesù, che vuole bene alla Chiesa, che vuole bene al Papa, che vuole bene alla gente, è un prete e quindi deve predicare Cristo morto e risorto, al di là di ogni altra cosa. Poi deve scendere più in profondità e dire che c’è tanta gente che vive questa Passione di nostro Signore Gesù Cristo.

D. – Lei ci dice che lì nella periferia, dove c’è la sofferenza, lì ci può anche essere la risurrezione…

R. – Certo, ci mancherebbe altro! Noi siamo cristiani non siamo né fatalisti, né pessimisti. La mia parrocchia comprende tutti palazzi di edilizia popolare; credo che in ogni appartamento ci siano almeno due famiglie, la famiglia che lo ha ricevuto e poi un figlio o una figlia che si sono sposati ma che non trovano casa, che non se la possono permettere… Ed ecco che la famiglia fa un po’ quello che ha fatto la Madonna: si mette da parte, fa spazio, accoglie. Quanti termini usiamo anche nella nostra teologia, nella nostra pastorale, nei nostri incontri, che magari ci fanno anche fare bella figura ma spesso non sono termini vissuti: l’accoglienza, per esempio... (bf)







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