Myanmar: il lungo cammino per la democrazia di Aung San Suu Kyi
"E’ l'inizio di una nuova era", è stato questo il commento di Aung San Suu Kyi, nel
suo primo discorso pubblico dopo la vittoria dello scorso primo aprile. Premio Nobel
per la pace, leader della Lega nazionale per la democrazia, Aung è riuscita ad aggiudicarsi
un seggio nel Parlamento del Myanmar. Ma la strada non sarà certo in discesa per la
leader birmana che per le sue idee politiche ha trascorso 15 anni in carcere e agli
arresti domiciliari. Sulle prospettive dopo la vittoria di Aung San Suu Kyi, ascoltiamo
Paolo Mastrolilli, inviato a New York per "La Stampa", e uno dei pochi giornalisti
ad averla incontrata. Il suo racconto nell’intervista di Emanuela Campanile:
R. – Il fatto
che adesso entri in Parlamento cambia completamente il suo profilo: non è più il detenuto
politico, il leader dell’opposizione che cercava di farsi ascoltare; è un leader del
Paese, è un leader politico. La sua vittoria è un primo passo ma non significa che
la giunta militare sia effettivamente disposta a cedere il Paese. Lei deve riuscire
adesso, in questi anni, a dimostrare che può e che deve avere un ruolo fattivo nella
gestione del Paese.
D. – Aung San Suu Kyi ha firmato il patto del perdono e
della dimenticanza: di cosa si tratta?
R. – Lei ha detto, durante questa intervista
con me, che non ha intenzione di chiedere processi per le persone che l’hanno perseguitata
e prima di lei, perseguitato il padre. Ha spiegato in maniera molto chiara che naturalmente
lei ha le sue giuste ragioni di risentimento nei confronti delle persone che l’hanno
costretta agli arresti domiciliari per tanto tempo, ma il suo obiettivo, a questo
punto, è quello di far rinascere il suo Paese, non di ottenere una vendetta personale.
D.
– Il suo popolo, lei lo definisce pronto per questa trasformazione, comunque per questo
inizio di una nuova era?
R. – Lei ha detto durante questo incontro che il suo
popolo, che la Birmania, è in grado di superare, dal punto di vista dello sviluppo
– politico ma anche economico – tutti i Paesi dell’Asean, i Paesi della regione asiatica
che negli ultimi anni hanno corso molto, dal punto di vista economico. Ha ragione
nel senso che la Birmania è un Paese che ha molte risorse naturali importanti che
fanno gola un po’ a tutti, alla Cina in particolare, che da tempo ha investito in
quel Paese, ma anche ai Paesi occidentali. Lei ritiene che il popolo sia pronto, sia
preparato; certamente, però, c’è da fare un grande lavoro perché la Birmania riesca
a realizzare tutte queste promesse.
D. – Ci sono due soggetti, a questo punto,
che sono forse determinanti per il futuro del Myanmar: la Cina e gli Stati Uniti.
Immagino che entrambi non staranno semplicemente a guardare …
R. – La Cina,
gli Stati Uniti e io direi anche i Paesi europei, perché anche i Paesi europei hanno
un peso importante laggiù. La Cina sicuramente ha un grande vantaggio: è il Paese
che, durante gli anni dell’isolamento, gli anni in cui la Birmania era sottoposta
alle sanzioni più rigide appunto a causa della dittatura militare e il trattamento
riservato ad Aun San Suu Kyi, ha mantenuto i rapporti aperti con Yangoon e ha fatto
fortissimi investimenti. Questa presenza così forte della Cina, secondo molti osservatori,
è uno degli elementi che ha spinto la giunta militare a cambiare linea e quindi ad
aprire alla democrazia e all’Occidente: proprio per cercare di bilanciare questa pressione
di Pechino che stava diventando un po’ troppo invadente. Gli Stati Uniti, naturalmente,
hanno colto questa occasione e lo hanno fatto con il viaggio molto simbolico del segretario
di Stato Hillary Clinton, alla fine dell’anno scorso. Naturalmente, c’è un doppio
interesse da parte degli Stati Uniti: economico e politico. L’obiettivo è cercare
di bilanciare l’influenza della Cina in questa regione e, in particolare, negare il
più possibile alla Cina l’accesso al mare dalla parte birmana, perché questo consentirebbe
appunto a Pechino di allargare ancora di più la sua influenza. Sullo sfondo, però,
c’è anche l’Europa che ha un ruolo importante da svolgere, perché l’Europa è una grande
potenza economica, perché ha una tradizione culturale anche in quella regione, una
presenza che c’è stata in passato; ha la possibilità di compiere interventi molto
utili, intanto dal punto di vista economico, di cui possono beneficiare i birmani
ma anche gli investitori europei; quanto dal punto di vista politico, per cercare
appunto di dare una sponda al nuovo governo, al di là di quelle che possano offrire
la Cina e gli Stati Uniti. (gf)