2012-04-05 14:33:05

Myanmar: il lungo cammino per la democrazia di Aung San Suu Kyi


"E’ l'inizio di una nuova era", è stato questo il commento di Aung San Suu Kyi, nel suo primo discorso pubblico dopo la vittoria dello scorso primo aprile. Premio Nobel per la pace, leader della Lega nazionale per la democrazia, Aung è riuscita ad aggiudicarsi un seggio nel Parlamento del Myanmar. Ma la strada non sarà certo in discesa per la leader birmana che per le sue idee politiche ha trascorso 15 anni in carcere e agli arresti domiciliari. Sulle prospettive dopo la vittoria di Aung San Suu Kyi, ascoltiamo Paolo Mastrolilli, inviato a New York per "La Stampa", e uno dei pochi giornalisti ad averla incontrata. Il suo racconto nell’intervista di Emanuela Campanile:RealAudioMP3

R. – Il fatto che adesso entri in Parlamento cambia completamente il suo profilo: non è più il detenuto politico, il leader dell’opposizione che cercava di farsi ascoltare; è un leader del Paese, è un leader politico. La sua vittoria è un primo passo ma non significa che la giunta militare sia effettivamente disposta a cedere il Paese. Lei deve riuscire adesso, in questi anni, a dimostrare che può e che deve avere un ruolo fattivo nella gestione del Paese.

D. – Aung San Suu Kyi ha firmato il patto del perdono e della dimenticanza: di cosa si tratta?

R. – Lei ha detto, durante questa intervista con me, che non ha intenzione di chiedere processi per le persone che l’hanno perseguitata e prima di lei, perseguitato il padre. Ha spiegato in maniera molto chiara che naturalmente lei ha le sue giuste ragioni di risentimento nei confronti delle persone che l’hanno costretta agli arresti domiciliari per tanto tempo, ma il suo obiettivo, a questo punto, è quello di far rinascere il suo Paese, non di ottenere una vendetta personale.

D. – Il suo popolo, lei lo definisce pronto per questa trasformazione, comunque per questo inizio di una nuova era?

R. – Lei ha detto durante questo incontro che il suo popolo, che la Birmania, è in grado di superare, dal punto di vista dello sviluppo – politico ma anche economico – tutti i Paesi dell’Asean, i Paesi della regione asiatica che negli ultimi anni hanno corso molto, dal punto di vista economico. Ha ragione nel senso che la Birmania è un Paese che ha molte risorse naturali importanti che fanno gola un po’ a tutti, alla Cina in particolare, che da tempo ha investito in quel Paese, ma anche ai Paesi occidentali. Lei ritiene che il popolo sia pronto, sia preparato; certamente, però, c’è da fare un grande lavoro perché la Birmania riesca a realizzare tutte queste promesse.

D. – Ci sono due soggetti, a questo punto, che sono forse determinanti per il futuro del Myanmar: la Cina e gli Stati Uniti. Immagino che entrambi non staranno semplicemente a guardare …

R. – La Cina, gli Stati Uniti e io direi anche i Paesi europei, perché anche i Paesi europei hanno un peso importante laggiù. La Cina sicuramente ha un grande vantaggio: è il Paese che, durante gli anni dell’isolamento, gli anni in cui la Birmania era sottoposta alle sanzioni più rigide appunto a causa della dittatura militare e il trattamento riservato ad Aun San Suu Kyi, ha mantenuto i rapporti aperti con Yangoon e ha fatto fortissimi investimenti. Questa presenza così forte della Cina, secondo molti osservatori, è uno degli elementi che ha spinto la giunta militare a cambiare linea e quindi ad aprire alla democrazia e all’Occidente: proprio per cercare di bilanciare questa pressione di Pechino che stava diventando un po’ troppo invadente. Gli Stati Uniti, naturalmente, hanno colto questa occasione e lo hanno fatto con il viaggio molto simbolico del segretario di Stato Hillary Clinton, alla fine dell’anno scorso. Naturalmente, c’è un doppio interesse da parte degli Stati Uniti: economico e politico. L’obiettivo è cercare di bilanciare l’influenza della Cina in questa regione e, in particolare, negare il più possibile alla Cina l’accesso al mare dalla parte birmana, perché questo consentirebbe appunto a Pechino di allargare ancora di più la sua influenza. Sullo sfondo, però, c’è anche l’Europa che ha un ruolo importante da svolgere, perché l’Europa è una grande potenza economica, perché ha una tradizione culturale anche in quella regione, una presenza che c’è stata in passato; ha la possibilità di compiere interventi molto utili, intanto dal punto di vista economico, di cui possono beneficiare i birmani ma anche gli investitori europei; quanto dal punto di vista politico, per cercare appunto di dare una sponda al nuovo governo, al di là di quelle che possano offrire la Cina e gli Stati Uniti. (gf)







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