Colletta del Venerdì Santo per sostenere la minoranza cristiana in Terra Santa
“Abbiamo tanta fame e sete di giustizia e di pace”: sono le parole del patriarca latino
di Gerusalemme, Fouad Twal, risuonate ieri mattina dal Santo Sepolcro, dove ha presieduto
la celebrazione della “Cena del Signore” cui è seguita la processione eucaristica.
“Sogniamo di condurre una vita normale, siamo prigionieri dell’odio, della diffidenza
e della paura gli uni verso gli altri”, ha affermato spiegando che “Cristo continua
a soffrire nelle membra del suo corpo mistico, che ci troviamo di fronte ogni giorno,
e che soffrono per mancanza di libertà e di pace, vessazioni di ogni genere, sofferenza
e lo stesso martirio”. “Amarsi gli uni gli altri” per il patriarca è la chiave di
tutta la Settimana Santa. In particolare oggi, Venerdì Santo, ricorre la giornata
della Colletta. Fausta Speranza ne ha parlato con padre Pierbattista Pizzaballa,
Custode di Terra Santa:
R. – La giornata
della Colletta è una tradizione antica, che risale al ‘500. Quindi, sono circa 400
anni che la Chiesa, ogni anno, in tutto il mondo, ricordando Gesù, pensa alle necessità
della terra dove Gesù ha vissuto e alla comunità cristiana che vive dove Gesù ha vissuto
e che conserva quella memoria. Gli obiettivi sono sempre gli stessi: la conservazione
dei luoghi santi, l’accoglienza dei pellegrini, ma soprattutto il supporto alla comunità
cristiana nella creazione di case, nella “job creation” e in tante altre attività
che sostengono la piccola e fragile comunità cristiana.
D. – Ci sono stati
momenti storici in cui c’era più speranza o più disperazione nel processo di pace,
rispetto al conflitto che purtroppo insanguina la zona. Quest’anno qual è la preghiera
che sta nel cuore in particolare di chi vive in Terra Santa?
R. – Non è una
novità questo altalenarsi, queste tensioni che vanno e vengono. Quindi, fa un po’
parte dell’identità di chi vive qui. La preghiera deve sempre essere la stessa, rivolta
al Signore, che poi però ti apra anche gli occhi alle relazioni interreligiose e umane.
I cristiani, che sono molto pochi – sono poco più dell’1 per cento della popolazione
– credo abbiano proprio questa missione: tenere gli occhi aperti e soprattutto le
relazioni aperte a tutti.
D. – Che cosa ricordare a chi non vive la Terra Santa
quotidianamente?
R. – Soprattutto la Pasqua ci ricorda che il cristianesimo
è incarnazione. Noi crediamo in una rivelazione storica: Gesù non è una teoria, è
una persona, è incarnazione, è nato qui, morto e risorto qui. Quindi, guardare a questa
terra, ricordarsi di questa terra non è un’opera di devozione, ma è un aspetto fondamentale
della nostra vita di fede.
D. – Che cosa dire delle particolarità delle celebrazioni?
R.
– Sono uniche e sono molto diverse rispetto a quello che si fa nel resto del mondo,
perché, evidentemente, si vive la memoria della morte e risurrezione di Cristo con
celebrazioni nello stesso luogo dove ciò è avvenuto, con tradizioni millenarie, che
hanno un significato sempre molto bello e commovente. (ap)