Occupazione nei beni culturali: 80% dei lavoratori sono precari, in gran parte donne
Si è svolto nei giorni scorsi a Roma un incontro sul precariato nel mondo della cultura.
L’ appuntamento ha voluto puntare il dito sul ‘paradosso Italia’, il Paese con più
alta concentrazione di patrimonio artistico ma con risorse dedicate al settore ridotte
al minimo e attenzione politica spesso irrisoria. La categoria da cui ci si aspetterebbe
solo notizie positive in realtà ha all’attivo numeri e dati disastrosi: 80% di precarietà,
professioni destinate a estinguersi, tecniche e ambienti usuranti. Un peso che, peraltro,
grava quasi interamente su spalle femminili: l’80% di chi lavora per i beni e le attività
culturali, infatti, è donna. All’incontro hanno partecipato alcuni operatori del settore,
intervistati da Luca Attanasio:
D. - Maria Natalina Trevisano,
lei è un’archivista. Vista la scarsa attenzione politica verso archivisti e
i bibliotecari, si va verso un alzheimer collettivo in Italia?
R. - Purtroppo
sembra plausibile. Noi che un tempo eravamo i consiglieri del sovrano, nelle civiltà
antiche, adesso siamo i garanti della memoria: una memoria che è la salvaguardia anche
di questa democrazia.
D. - Cosa si fa o forse meglio cosa non si fa per tutelare
questo settore?
R. - Un piccolo esempio. Un concorso che è stato bandito l’anno
scorso dall’Enea: un posto di autista-barelliere anche con funzione di archivista.
Questa è la grande sfida che questo Paese ha davanti. Noi archivisti, noi operatori
nei beni culturali, grazie alle associazioni di categoria, stiamo concentrando le
nostre azioni, le nostre energie, nel creare rete, per un riconoscimento chiaro e
definito di queste professioni che sono la salvaguardia di questo Paese.
D.
- Donato Tamblé, lei è il sovrintendente archivistico per il Lazio.
Qual è la situazione?
R. - All’interno delle istituzioni si vorrebbe avere
piena collaborazione di tanti giovani. Negli uffici ci stiamo assottigliando sempre
di più. La sovrintendenza archivistica che aveva un organico di 33 unità adesso ha
solo 12 addetti, per un patrimonio da vigilare, tutelare e valorizzare che comprende
non soltanto archivi di istituzioni del Lazio ma archivi nazionali. Che ci sia un
nuovo piano di occupazione giovanile, perché il nostro lavoro culturale assicura la
permanenza della memoria della società.
D. – Antonella Nonnis, presidente
di Fabbrica Cultura. Un mix perfetto tra cultura, artigianato imprenditoria, green
job… qual è il vostro segreto?
R. – Nel 2002 quattro piccoli comuni, sotto
i 3000 abitanti, si uniscono insieme in un accordo di programma e definiscono che
avevano quattro musei civici, avevano patrimonio d’arte diffuso - siamo nella regione
Marche - e decidono di fare una piccola squadra. Nel 2007 si fa un protocollo di intesa
con Coldiretti, Legambiente, Cna: gli artigiani e gli agricoltori entrano nel mondo
dei musei. Nasce il progetto che si chiamerà “Musei e territorio” che oggi ha 22 imprese
collegate, oltre 200 addetti e oltre sei milioni annui di fatturato. Le imprese sono
tutte imprese che credono fortemente in quello che fanno perché c’è la passione e
la creatività. Noi abitiamo in un territorio molto piccolo che però ha prodotto il
rinascimento dell’Italia, storia e arte, e di quello ci siamo nutriti.