Giornata internazionale contro le mine: molti i Paesi infestati da ordigni inesplosi
“Mine e residui bellici ostacolano lo sviluppo e metto in pericolo la vita”. Così
il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, scrive nel messaggio per
l'odierna Giornata internazionale per la lotta contro le mine. A oggi, molti sono
gli Stati che hanno aderito alla Convenzione internazionale contro questi ordigni
- siglata ad Ottawa nel 1994 - che comunque continuano a minacciare diverse aree del
pianeta nonostante l’intenso lavoro di sminamento. Secondo i dati diffusi dalla Campagna
internazionale contro le mine nel 2007, Africa, Asia, Russia, ma anche Ecuador, Perù
Colombia e Cile sono contaminati da mine e ordigni inesplosi. Le Nazioni Unite hanno
ricordato anche la recente tragedia di Brazzaville, in Congo, dove è esploso un deposito
di armi, tragico richiamo alla difficile gestione di tali ordigni. Massimiliano
Menichetti ha raccolto il commento di Giuseppe Schiavello direttore della
Campagna italiana contro le mine:
R. – E’
incoraggiante il fatto che, oramai, 159 Stati abbiano aderito a questo Trattato per
la messa al bando delle mine. Ad oggi ne mancano 37 all’appello, ed il commercio e
l’utilizzo delle mine é pressoché fermo.
D. – Ci sono ancora, però, delle mine
sotterrate. E questo è un grave problema...
R. – Come diciamo spesso noi, “le
mine non sanno di essere state messe al bando”. Diciamo che, quando è iniziata questa
campagna, più di 90 Paesi erano affetti dal problema delle mine antipersona. Oggi
si contano 70 Paesi affetti dove, peraltro, molte delle zone sono state comunque in
sicurezza.
D. – Azioni di sminamento e stoccaggio hanno recentemente coinvolto
Albania, Costa d’Avorio e Repubblica Democratica del Congo. In questi giorni, però,
giunge notizia della Siria, la quale sta seminando bombe lungo i confini per evitare
sia la fuoriuscita di profughi dal proprio Paese, sia per un’eventuale difesa. La
situazione è ancora grave...
R. – Gravissima. Il confine con la Giordania era
già minato, per cui non sappiamo se adesso abbiano posizionato altre mine, mentre
i confini con la Turchia e con il Libano sono stati “ri-minati”. La Campagna internazionale
per la messa al bando delle mine – di cui facciamo parte, come braccio italiano –
ha infatti richiamato tutti gli Stati che fanno parte di questo Trattato a pronunciarsi
in maniera molto dura rispetto a questo atteggiamento da parte della Siria. La Siria,
lo ricordiamo, non fa parte del Trattato, ma queste armi producono effetti indiscriminati
e violano i diritti umani.
R. – Allo stato attuale, quali sono i Paesi dove
sono maggiormente presenti le mine?
R. – Ci sono tutti i recenti scenari di
guerra. L’Afghanistan è sicuramente uno dei Paesi più afflitti dal problema delle
mine, degli ordigni inesplosi ed anche degli ordigni improvvisati, che spesso vengono
utilizzati dalle forze ribelli. La Colombia è un altro di questi Paesi dove i conflitti
interni con le Farc – l’esercito di liberazione nazionale – e gli stessi narcotrafficanti
spesso vede l’uso di mine, che vanno poi a colpire la popolazione sia interna e sia
civile.
D. – Le mine antiuomo richiamano immediatamente le "cluster bombs",
ovvero le bombe cosiddette "a grappolo". Sono ordigni che, quando vengono lanciati,
si aprono in tante altre piccole bombe che cadono sul terreno...
R. – Il Trattato
sulle "cluster" è decisamente più giovane: è entrato in vigore nell’agosto del 2010
e vede l’adesione di meno della metà di quei Paesi che hanno aderito al Trattato per
le mine antiuomo. E’ anche vero, però, che si tratta di un Trattato decisamente figlio
di quell’impegno e quindi, di conseguenza, nel tempo si è cercato di produrre l’evidenza
per poter dimostrare che anche le "cluster bombs" hanno degli effetti indiscriminati.
D.
– I bambini, spesso, sono delle vittime di questi ordigni, vero?
R. – Assolutamente.
I bambini tendono a giocare con tutto quello che è colorato. Ricordiamo che in Afghanistan
ci fu quel grave problema dei pacchi alimentari lanciati dagli aeroplani, che erano
gialli, com’era gialla anche buona parte delle "cluster bombs"...
D. – La Giornata
richiama anche alla necessità di aiutare le vittime delle mine e delle "cluster bombs"...
R.
– Le vittime sono ciò che resta per i molti anni di trascuratezza di questo problema.
Ricordiamo che le vittime sono centinaia di migliaia e che spesso la disabilità, all’interno
di questi Paesi, è qualcosa che marginalizza a dei livelli di cui non riusciamo veramente
a renderci conto. In questi Paesi, dove le attività per sopravvivere sono spesso di
carattere pastorizia-rurale, una persona disabile è avvertita come un peso per la
famiglia e per la comunità.
D. – Qual è, dunque, la sfida che emerge da questa
Giornata internazionale?
R. – Lavorare sulla civiltà giuridica, affinché gli
Stati che hanno firmato questo trattati, e anche quelli che non ne fanno ancora parte,
siano in qualche modo instradati ad un sostegno concreto delle vittime. Generare,
quindi, delle condizioni di accettabilità e di inclusione che, forse, ancora oggi
sono dichiarazioni di intenti. (vv)