Pasqua in Afghanistan. Il parroco di Kabul: ricordatevi di questa piccolissima comunità
cristiana
Tra i Paesi martoriati dalla guerra, dove i diritti della popolazione sono calpestati,
soffocati dalla mancanza di libertà, a partire dalla libertà di religione è l’Afghanistan,
Paese islamico al 99 per cento, dove sopravvive tra mille difficoltà una piccolissima
comunità cristiana, che si prepara a vivere la Pasqua. Roberta Gisotti ha intervistato
padre Giuseppe Moretti, parroco dell’unica chiesa in Afghanistan, quella interna
all’ambasciata italiana a Kabul:
R. - I cristiani
dell’Afghanistan sono i cristiani della comunità internazionale, in quanto non esiste
alcuna comunità autoctona cristiana: per ragioni storiche e anche per ragioni legislative,
perché - essendo un Paese totalmente islamico - sino ad oggi è stata proibita qualsiasi
forma di evangelizzazione.
D. - Come si preparano a vivere la Pasqua questi
pochi cristiani che vivono, appunto, una situazione di forte limitazione all’espressione
della loro religione?
R. - Debbo riconoscere che quei pochi praticanti si preparano
alla Pasqua con molta intensità, così come con molta intensità partecipano alla Messa
domenicale. Coloro che vengono, vengono perché credono profondamente: date le limitazioni
che ci sono, data la critica situazione che c’è, dati i continui allarmi, quanti ne
verranno non lo so, perché il numero rispetto ad altri tempi è in diminuzione…
D.
- Si parla di poche decine di persone ormai, lei ha detto che sono in diminuzione,
sicuramente sono spaventati…
R. - Guardi, debbo anche dire che la comunità
occidentale internazionale è un esempio classico di indifferenza religiosa. Quindi
la diminuzione è anche in rapporto al minor numero di battezzati praticanti.
D.
- Padre Moretti, quanti sono i sacerdoti, i religiosi, le suore presenti in Afghanistan
in questo momento?
R. - Di sacerdoti ufficialmente ce ne è uno solo e sono
io. Ci sono poi i cappellani militari, di cui non conosco il numero, che operano esclusivamente
nel settore di loro competenza. Per quanto riguarda le suore, abbiamo tre comunità
di suore: le suore di Madre Teresa, abbiamo le Piccole sorelle e abbiamo una comunità
intercongregazionale per un totale di 12-13 suore. C’è poi una comunità di Gesuiti,
che però sono presenti in Afghanistan come operatori umanitari: hanno una organizzazione
non governativa, Jesuit Refugee Service, dove non tutti sono sacerdoti, soltanto
uno o due. I Gesuiti non sono qui ufficialmente come sacerdoti. La cerchia quindi
si restringe proprio all’unico rappresentante ufficialmente accettato dal governo
afghano in base al Trattato bilaterale italo-afghano del 1921.
D. - In questa
situazione così difficile sotto ogni punto di vista, come vive la sua missione?
R.
- La mia missione richiede una grande fede, un abbandono totale nella mani di Dio
e poi operare nel miglior modo, per quanto sia possibile all’umana fragilità: cerco
di fare del mio meglio.
D. - Padre Moretti, tra tanta sofferenza che vive
questo Paese martoriato dalla guerra, quale augurio pasquale fare?
R. - L’augurio
è quello che facciamo a noi stessi e a tutti: Risorgere con Cristo! Che la luce di
Cristo possa trovare degli spiragli, se non proprio delle finestre o delle porte aperte.
La luce di Cristo è la pace, è la serenità, è un’apertura a Lui, a Lui che è la vita.
Questo è il mio augurio. D. - Grazie, padre Moretti…
R. - Grazie a voi
che vi siete ricordati che esistiamo anche noi. Come diceva San Paolo: “Fateci un
posto nel vostro cuore", magari il più recondito, ma che ci sia un posticino anche
per questa piccola, microscopica comunità internazionale che cerca di vivere nel silenzio,
nell’unità e nella sofferenza la propria fede. (mg)